Erano trascorsi solo pochi mesi da quel 5 aprile 1997, giorno nel quale avevo consegnato alla cultura italiana l’avventura passionale e artistica di Jacques Zwobada verso Antonia Fiermonte, per un certo verso legata all’Accademia di Francia a Roma [1], che un altro episodio nato a Villa Medici viene ad offrirmi l’emozione di scoprire ancora una trama di intenso romanticismo.

Il “pensionato” di Villa Medici credo sia davvero una inesauribile fonte di forti emozioni: protagonisti sono i personaggi che anno dopo anno vi risiedono, irrequieti, geniali, curiosi e soprattutto giovani, che ne forniscono la materia prima. Villa Medici è uno dei parchi più affascinanti di Roma, con il suo palazzo severo e disadorno che nasconde le delizie del suo interno: una facciata unica nel suo genere e, nel giardino, un quieto boscoso ritiro per artisti e poeti. “Lieta reggia cardinalizia e papale dei Medici nei primi del ’600, passò nel tempo ai loro successori nella sovranità di Toscana e da essi a Napoleone, che ne fece (1803) l’ultima sede romana, magnificamente degna, dell’Accademia di Francia, fondata (dietro i consigli del Bernini) da Luigi XIV e da Colbert nel 1666”.

La durata della permanenza dei “pensionanti” a Villa Medici ha subito nel tempo numerose variazioni, ma già negli anni venti del XX secolo era, ed ancora oggi è, di tre anni e quattro mesi: inizia il primo di gennaio e finisce il trenta di aprile. Vengono ospitati gli artisti più meritevoli, in seguito a severo concorso. I pensionanti vengono a Roma per maturare il loro ingegno, per prendere contatto con i capolavori classici e piena conoscenza della loro personalità e della loro arte. In principio Luigi XIV ve li mandò per arricchire i suoi palazzi, in altre parole perché lavorassero per la sua gloria; sin dalla fondazione infatti, i pensionanti, in cambio dovettero fornire allo Stato alcune opere. Furono chiamati invii, stabiliti dal “regolamento” con rigorosa meticolosità; questo infatti prescrive: “Lo scultore [...] nel primo anno consegnerà un bassorilievo di grandezza naturale rappresentante una figura nuda o due figure seminude. Nel secondo anno una statua modellata dal vero. Nel terzo anno la realizzazione marmorea della stessa statua. Lo scultore deve fare un viaggio di studio in Grecia [...]. Gli invii saranno mandati a due esposizioni: Roma e Parigi [2]”. Con tale metodica, le opere d’arte nacquero e andarono a popolare i giardini e i saloni di Versailles, i parchi e gli appartamenti reali, i castelli e le aiuole dei nobili e dei finanzieri.

Quella che voglio qui raccontare è una storia degna del miglior melodramma ottocentesco: la trama è davvero un classico! Nasce con un incontro fortuito; si sviluppa con l’allegra vampa d’amore, intensa e avviluppante; viene ostacolata da una nonna, previdente e inflessibile, che deve far da madre alla nipote orfana di padre; sfocia in un matrimonio di convenienza con un benestante contadinotto del borgo; si conclude tragicamente con la morte della fanciulla ventenne; esita nell’amore platonico e indimenticabile dell’artista, finalmente celebre, che ormai non può che perpetuarne l’effigie nelle sue opere più importanti. E questa fanciulla - protagonista di tanto intreccio - interessa il territorio posto a Nord-Est di Roma: nacque infatti a Palombara Sabina.

La prima volta che mi interessai alla Palombella scrissi: “Le notizie che possiamo fornire in questo breve saggio non sono complete poiché non esiste un solo testo in lingua italiana che accenni a questa meravigliosa storia nata tra i vigneti di Trastevere ove Jean-Baptiste Carpeaux vagava in cerca di emozioni, dopo essere approdato a Roma, vincitore del Grand Prix de Rome de Sculpture [3]”. Oggi, dopo quel primo saggio, la Comunità sabina ne ha preso consapevolezza ed è nata l’Associazione socio-culturale “La Palombella” che svolge un’attiva ricerca per colmare i punti oscuri di quella lontana vicenda: negli anni, ha pubblicato pure dei volumi in bella edizione con contributi di molti ricercatori [4]. Angelo Gomelino, nel capitolo La storia della Palombella raccontata dagli organi di stampa...[5], scrive: È questo un saggio più complesso, completo e ben articolato con il quale gli autori cercano per primi di scandagliare più affondo e di mettere in evidenza fatti e circostanze meno note e poco chiare ma anche di una proposta; un lungo lavoro sarà quindi da programmare in loco e in Francia, qualora questa bella storia d’amore dovesse interessare il comune di Palombara Sabina. Lo spunto è dato dal libro 'Zwobada a Mentana'

Carpeaux non era stato favorito dalla sorte affacciandosi alla ribalta della vita, poiché era nato nella più profonda miseria; suo padre l’aveva inviato in una classe di architettura a Valenciennes diretta da Jean-Baptiste Bernard. L’allievo non fu bene accettato perché considerato assai incolto: la mancanza di istruzione si tradiva nelle sue composizioni con degli anacronismi assai bizzarri, anche se ben presto si dovette riconoscere che da questo caos apparente si elevava la fiamma di un genio nascente. All’inizio della carriera la famiglia pesò su Jean-Baptiste come macigno; il padre infatti pensò bene di seguire il figlio nella esperienza parigina conducendo con sé, in cerca di fortuna, l’intera famiglia composta dalla moglie e cinque figli [6]. Durante il giorno Carpeaux si improvvisava facchino alle Halles, i mercati di Parigi oggi demoliti, mentre la sera copiava delle statuette commerciali o ingrandiva dei bozzetti per il mercante Michel Anron. Si adoperò in ogni modo per restare se stesso, gli vennero commissionati vari lavoretti che gli consentirono di sbarcare il lunario mentre andava affinando la sua arte.

Nel 1852 sfiorò il primo premio che però raggiungerà solo due anni dopo: il Grand Prix de Rome de Sculpture, lo condusse nella città dei Cesari e dei Papi. La figlia dello scultore, Louise Clément-Carpeaux, in un’opera-verità, lo presentò con questo titolo che ne voleva richiamare l’essenza [7]. Si chiese infatti: “Ci si domanda cosa sarebbe stato della carriera di Carpeaux se non fosse vissuto qualche anno a Roma e se non si fosse entusiasmato per Michelangelo; il suo genio si sarebbe espresso con uguale potenza? Si potrebbe dubitarne, constatando l’impressione profonda, incancellabile che gli ha lasciato il primo contatto con il re degli scultori”. E io stesso, per la stessa prospettata ipotesi, qualora Carpeaux non fosse venuto a Roma, difficilmente starei qui a scrivere di Palombella; egli infatti poté incontrarla solo perché nel 1854 aveva ottenuto quel tanto desiderato “primo premio” presentando alla commissione la scultura Ettore che implora gli Dei a favore di suo figlio Astianatte.

L’arrivo nel “paese delle meravigliose scoperte” - come chiamò la città di Roma la figlia Louise - gli mostrò “prima fra tutte, le strade di Roma: com’erano diverse allora da quelle di oggi. […] Se la maestà di Roma è stata preservata, le sue strade e la vicina campagna non brulicano più della gente gioiosa, gesticolante, cantante e danzante nell’aria che vibra. Le belle trasteverine nobili anche nei loro stracci non passano più con la loro camminata allegra, portando sulla testa pesanti panieri sostenuti dalle loro braccia in un gesto antico [8]”. A Roma, Carpeaux divenne girovago e osservatore; quel periodo venne documentato ancora dalla stessa figlia: “Carpeaux si è inebriato - sempre con la matita in mano - di questa frenesia di movimento e di colori. Più tardi, evocando questo periodo della sua evoluzione artistica, l’ha denominato l’educazione della strada. Pur tuttavia il suo impulso di osservatore appassionato non si sarebbe limitato a questo: egli visita i grandi musei traboccanti di tesori, le chiese, dove scoprirà Michelangelo, il suo dio”.

Lo scultore inoltre, a Roma, ebbe la fortuna di suggellare un’amicizia, fondamentale per la sua formazione, con Joseph Soumy, pittore e incisore di talento [9], il cui concorso per Villa Medici era stato un trionfo; a questi piacque la natura fiera e indipendente del nuovo amico: notando l’ardore nel lavoro e le innate qualità, mise in mano a Carpeaux il pennello, iniziandolo pure alla tecnica della pittura; così egli, percorrendo la città e la campagna intorno a Roma e temporaneamente tralasciato lo scalpello, perdutamente dipingeva, disegnava, “cercando tutti i mezzi di espressione per captare il fiume di vita mobile che scorre[va] davanti ai suoi occhi abbagliati”. Egli però era stato mandato a Roma per la scultura e se lo sentiva ripetere ossessivamente dal direttore di Villa Medici, il quale non perdeva occasione per ricordargli che il blocco di marmo per l’annuale invio lo attendeva nello studio.

Intanto un altro accadimento imprevisto sconvolse la sua vita romana: intersecò la sua strada la giovane musa. In una breve nota, Franco Pompili, un saggista locale [10], così volle tramandare l’incontro fatidico, lavorando un po’ di fantasia: Fu in Trastevere ch’ebbe inizio la dolce storia. Era maggio, un tardo pomeriggio che i timpani di Santa Maria diventavano rossi della luce del tramonto. C’erano sulla piazza ragazze a gettar briciole di pane ai colombi. Venivano alcune da Palombara, un paese a qualche diecina di miglia da Roma, per ‘scacchiare’ le vigne negli orti di Trastevere. Jean-Baptiste era lì e guardava una di loro, bella, esile e vivace. Le chiese se voleva posare per lui. Ella accettò, quasi aggressiva, poi rise con le compagne all’idea di posare per uno scultore. Giunse allo studio dell’artista con un cesto di frutta.
- Come ti chiami?
- Barbara Pasquarelli
- Ti chiamerò “Palombella
”.

I giorni trascorsero lietissimi nello studio romano aperto su una Roma piena di cielo. Barbara era ogni giorno la più soave delle donne e Jean-Baptiste ne era pazzamente innamorato. Così si è voluto tramandare in loco l’incontro; forse vi è un po’ di letteratura rosa nel racconto, volto nel breve termine in tragedia. L’incontro con la fresca e spontanea fanciulla sabina deve avere inebriato Carpeaux al punto che ne volle presentare (e preservare) le sembianze con una delle sue prime opere scultoree: la Palombella. Lo confermò la figlia Louise: “Si sa che la scultorea bellezza della bella incantatrice di colombe (da cui il suo nome) ha impressionato profondamente l’uomo e l’artista: è un meraviglioso antico che ha preso vita per lui soltanto [11]”. Il bozzetto di quest’opera, insieme con quello dell’Imbronciato (a volte intitolato Bruto fanciullo), fu presentato alla Esposizione di Belle Arti come esempio della prima produzione dell’artista a Roma.

Riferì la figlia: “[...] Si dice che lo stesso Carpeaux avesse riportato in Francia i bozzetti originali o modelli, il che fece scherzosamente supporre al sig. Henry Lapauze, poco esperto di tecniche scultoree che - sempre ferito d’amore - mio padre avesse avuto l’audacia di sbarcare a Parigi accompagnato dalla Palombella in carne ed ossa! In realtà la povera piccola Trasteverina non conobbe mai altro che il bel cielo d’Italia, sotto il quale avrebbe dovuto morire tanto giovane”. In nota ella precisò che Lapauze [12] aveva erroneamente scritto: “Ben presto Carpeaux potè ritornare in Francia, accompagnato dalla sua modella [13]”, confondendo il termine “modello”, prova scultorea d’autore, con “modella”, fanciulla che posa nello studio dell’artista. L’idillio, purtroppo, voltò rapidamente in tragedia; il regolamento dell’Accademia di Francia era sin troppo drastico sull’argomento “matrimonio”: questo era totalmente vietato sino al termine del “pensionato”, pena l’immediata espulsione dall’Accademia.

Ecco il racconto dell’epilogo tramandato dalla figlia Louise: “Benché innamorato, Carpeaux non sacrificherà la sua arte alla Palombella; essa stessa ebbe il coraggio di consigliarglielo. La poverina sperava che, libero dopo due anni, Carpeaux le avrebbe portato una felicità soltanto differita. I fatti sono noti: Carpeaux si dedicherà alla sua arte con frenesia; d’altra parte non sarà libero nel tempo previsto; colpita, assillata dalla vecchia madre[14] avara ed indigente, Palombella consentirà al matrimonio, agli inizi del 1861, con uno zotico fornito di mezzi, [...] che ha inoltre un piccolo impiego nella milizia [15]”. La Palombella quindi era in verità solo una ragazzina orfana di padre, con una madre che doveva provvedere al sostentamento dei sopravvissuti e allevata dalla nonna, la quale non aveva – forse non poteva avere in quella loro situazione - sentimenti materni e teneri.

Su questo passaggio della vita della Palombella fu dello stesso parere Franco Pompili; egli infatti scrisse: La madre [16] intanto aveva già pronte le nozze con Bernardino Palmieri, il ‘casarecciotto’ con gli scudi. Quando Carpeaux tornò dalla Francia si era alla vigilia del matrimonio. La vecchia aveva percosso e minacciato la fanciulla, eppure la Palombella era lì nel padiglione di Villa Medici ad attenderlo. Jean-Baptiste era trionfante. Aveva smosso perfino il ministro ed aveva il permesso in mano [17]. Barbara comprese che in quel momento [per Carpeaux] era più importante il gruppo dell’Ugolino. Si avviò alle nozze pallida e muta. Anche Bernardino era trionfante quando scese le scale di S. Biagio con al braccio la più bella sposa di Palombara. Trionfante era la madre [e la nonna] per il buon affare concluso, euforici i convitati fra boccali di vino. Cominciarono così i tristi giorni nella casa di via dei Portici. Carpeaux lavorava sul marmo, Barbara soffriva, percossa dal marito geloso. Jean-Baptiste esponeva con grande successo di pubblico, Barbara era minata dalla tisi [18] e stava per morire. Era il dicembre del 1861 e faceva freddo. Un pastore suonò a Villa Medici. Un biglietto per Carpeaux: “Io sto per morire. Vieni domani. La gente va alla fiera. In casa resta soltanto chi è malata come me”. Lo scultore corse a Palombara (...). Gli occhi spenti di Palombella si illuminarono: “Hai sacrificato il nostro amore alla tua statua. Non ne sono gelosa. Il bambino è nato pochi giorni fa. Abbine cura, Gian Battista”. Egli piangeva e baciava le labbra di lei brucianti. Aveva 19 anni Barbara [19] quando fu sepolta nel piccolo cimitero di Santa Maria del Gonfalone, il 18 dicembre 1861 [20].

La tragedia si compì totalmente con la morte del piccolo qualche settimana dopo. Il Pompili adombra la possibilità che la fanciulla sia morta di “tisi”; è un argomento da approfondire; dalle altre fonti si penserebbe più a una patologia diversa: la “sepsi puerperale [21]”. Personalmente - avevo scritto circa la causa della morte della Palombella - darei più credito alla tesi della “sepsi puerperale”. Più logica, inoltre, poiché la salute della fanciulla veniva sempre data come ‘piena di vita e di allegria’, stato d’animo non consono a un soggetto affetto da “tisi”. Il dubbio tuttavia credo si potrebbe dirimere ricercando fra gli atti comunali il certificato di morte, se al tempo il medico doveva indicarne la causa clinica del decesso. Questo, se conservato negli archivi, potrebbe portare alla soluzione del dubbio [22]. Carpeaux non dimenticò mai la sua Palombella; di lei portò vivido il ricordo per la vita. Lo testimonia una lettera in data 14 dicembre 1862, riportata dal Pompili, nella quale Carpeaux allegava dieci scudi perché la nonna non facesse mancare i fiori sulla tomba della fanciulla: [...]) È ormai quasi un anno che piango la più dolce delle donne. Da quel tempo io son sempre triste ed il bene che io le volevo su questa terra è rivolto al cielo ove si trova la mia Palombella. Come oggi saremmo felici s’ella mi avesse atteso. Il matrimonio non era per me, e sono stato ben disgraziato di non essere libero quando l’ho conosciuta. Dovevo fare il gruppo dell’Ugolino. Ora che come artista ho una magnifica posizione, Barbara non è più e la felicità è lontana da me [...] Ho sempre Monte Gennaro dinanzi agli occhi e credo sempre di rivedere la mia Palombella col suo sorriso. Ah come ella mi era cara [...].

Nel suo breve pro-manuscripto il Pompili aveva parlato di altre lettere inviate da Carpeaux alla nonna senza però dare indicazione sul possessore di tali lettere. Anni dopo, ormai divenuto di pubblico dominio l’avventura non fortunata di Barbara Pasquarelli, a seguito della notorietà saggistica in loco, le lettere di Carpeaux alla madre della Palombella furono trovate e pubblicate da Antonio Chilà [23]; venivano inviate “al padre dell’avvocato Domenico Margottini perché le leggesse alla madre della Palombella, Maria Giovanna Luttazi, analfabeta”. Ma ancor più lo Scultore ne perpetuò il ricordo nella sua arte; quando elaborò il tema della Francia portatrice di luce nel mondo e protettrice della Scienza e dell’Agricoltura, nella composizione generale egli si era ispirato a quella tripartita di Michelangelo nella cappella mortuaria dei Medici a San Lorenzo di Firenze: le Cappelle Medicee.

L’ispirazione fu confermata dallo stesso Carpeux a Falguière [24]: La mia composizione è felice ed ho qui l’occasione di mostrare l'importanza degli studi che ho avuto la fortuna di fare con te a Roma. È certo che nella statua della Francia “il volto della Palombella, di cui eseguì il busto e che ossessionava sempre il suo ricordo, abbia trovato lì un suo altero destino [25]”.

Il busto della Palombella, il Piccolo imbronciato e il Pescatore napoletano con la conchiglia misero in evidenza le due principali caratteristiche del talento dello scultore: il vigore e la grazia; ma il capolavoro che consentì di farlo conoscere al mondo e posarlo - come lui stesso scrisse - “su un piedistallo che il tempo non distruggerà mai”, fu il suo Ugolino, primo premio al salone del 1863. Dopo la presentazione di quest’opera fu il trionfo; fino al 1875, anno della sua morte, impastando creta e tagliando marmo senza posa, l’artista terminò circa ottanta gruppi, busti e statue, abbozzò una quantità straordinaria di progetti e schizzi, dipinse una sessantina di tele, eseguì parecchie centinaia di disegni a matita, una moltitudine di bozzetti e parecchie acqueforti [26].

Avevo scritto in precedenza che la bibliografia da me consultata in loco non mi aveva fornito elementi circa la possibilità che la presenza di Carpeaux a Palombara Sabina fosse stata interamente ritrovata. Il dubbio era legittimato da una riflessione della figlia Louise, che aveva scritto, senza ulteriori precisazioni: “Il racconto del toccante idillio è arrivato ai nostri giorni, anche se alcuni documenti recentemente scoperti a Palombara tentano invano di sciuparlo”. Né mai in precedenza era stata volta attenzione al riepilogo di tutte le opere nelle quali vengono ricordate le sembianze della Palombella. A stimolare questa nuova ricerca fu ancora la figlia Louise quando scrisse: “Carpeaux ha lasciato numerosi studi dipinti della “Madre della Palombella” [in realtà la nonna, n. d. A.], in cui sembra quasi abbia modellato i bei tratti di un viso rovinato, con l’aiuto dei suoi pennelli. Di contro, non si trova nella sua opera nessuna pittura, nessun disegno che rappresenti la fanciulla la cui bellezza aveva rapito il suo cuore. Strana eccezione, inspiegabile. Carpeaux ha forse distrutto i ritratti eseguiti, sono stati sottratti nel corso della sua lunga agonia, sono stati soltanto vergognosamente deteriorati? Non saprei, al presente, come chiarire questo mistero [27]”.

Ed anche la ricerca della tematica scultorea sulla Palombella non si presentava facile: già il primo impatto mi aveva fatto suonare un campanello d’allarme! Nell’unico servizio giornalistico in lingua italiana riferito alla storia della fanciulla di Palombara [28] e pubblicato da Nayereh Maglietta, veniva riportata l’illustrazione del busto della Palombella con la didascalia: Il poeta Raoul Villedieu nel giardino di Villa Medici davanti al teatro di Palombella. Si trattava di quello stesso busto che aveva trionfato nel Salone di Parigi e che poi era stato posto sul piedistallo, nel boschetto che li aveva visti nei rari momenti di felicità. Il poeta venne a Roma, in occasione del centocinquantesimo anniversario dell’insediamento a Villa Medici della prestigiosa Accademia, per cantare l’idillio “che ha tanto inciso sulla vita e sull’arte di Carpeaux”.

In occasione della mia visita alla sede dell’Accademia di Francia del mese di aprile 1997 non ho più trovato nel luogo indicato né busto né basamento; non ho avuto neppure indicazione sulla destinazione dell’opera rimossa. In quella prima scultura le sembianze della Palombella sono severe e gravi; successivamente lo Scultore apportò varie modifiche in altrettante sculture; qualcuna veniva dichiarata scomparsa già dalla figlia. Sino al tempo del mio primo articolo [29] solo il pro-manuscripto di Pompili e una epigrafe posta sulla parete della casa che assistette all’epilogo della triste avventura in occasione del centenario della morte erano i modesti, visibili segni posti a testimoniare che la Palombella non fosse stata del tutto dimenticata dai suoi concittadini; questa epigrafe su marmo, fatto collocare dalla Pro-loco, reca incisa la dedica: Barbara Pasquarelli / in questa che fu via dei Portici / prostrata e vinta d’amore / gli occhi chiuse / il 18 dicembre 1861/ all’arte aprendo quelli dell’artista / Jean-Baptiste Carpeaux / scultore francese / la vita ne illuminò / ne ispirò l’opra / egli / Palombella / l’amò.

Ho creduto opportuno tornare su questa pagina sabina poiché “il tempo è martello [30]” ; nella mostra del 24/06 – 28/09 del 2014, presso il Museo d’Orsay a Parigi, Carpeaux (1827 – 1875), uno scultore per l’Impero, tutto quanto sopra scritto è riassunto in poche parole: Jean-Baptiste Carpeaux, figlio di un muratore e di una merlettaia di Valenciennes, si costruisce un destino fuori dal comune strettamente legato alla "festa imperiale" durante il regno di Napoleone III. Carpeaux, per quanto fosse un artista singolare nell’ambiente del suo tempo, rappresentò una delle più perfette incarnazioni dell’ideale romantico dell’artista maledetto: tutto questo in virtù della sua breve e splendente carriera, concentrata in una quindicina di anni, dell’intenso, appassionato e accanito lavoro sui soggetti da lui scelti o a lui commissionati […] Anche la vita quotidiana del popolo italiano gli ispira numerosi studi dal vero. L'entusiasmo di questi anni romani deve molto anche alla relazione con una giovane contadina dei Monti Sabini, Barbarella Pasquarelli, detta "La Palombella".

L’avventura vissuta nel suo breve volgere di anni dalla Palombella è trama del più appassionante melodramma che nulla porrebbe ad un livello meno qualificante dei palpiti d’amore e di dolore suscitati nella Tosca o nella Traviata, nella Bohème o in Andrea Chénier: anch’essa darebbe vita a un “libretto” o a un romanzo nel quale i tipici contrasti di sentimenti, propri dei singoli personaggi che nel triste accadimento si agitano, arrivano al clima più esasperato e sanguigno, sino al sopraggiungere della più acerba tragicità del finale.

Note:
[1] Il 5 aprile 1997 avevo presentato il mio Zwobada a Mentana, amore folgorante, simbolismo erotico (Editoriale Umbra, Foligno 1997) con queste parole: “Non è un romanzo quello che viene descritto in queste pagine; la vita sa essere molto spesso più fantastica di ogni umana fantasia. Dico subito invece che quanto riferirò è vero come gli avvenimenti di un saggio storico, vissuti, goduti o sofferti dai singoli personaggi: il mio compito in questa storia è quello di semplice cronista, divertito se si vuole, ma che nulla inventa e tutto solamente riporta”. Narravo la storia di un amore nato a Villa Medici a Roma fra uno scultore, René Letourneur e la sua modella italiana, Antonia Fiermonte, proseguita a Parigi, nell’atelier usato in comune con lo scultore Jacques Zwobada, e con l’innamoramento folgorante di Antonia per l’artista nuovo incontrato. Un romanzo-documento, insomma, che “iniziò un giorno di febbraio del 1995 con la solita chiacchierata telefonica alle sette del mattino con il prof. Federico Zeri; egli stava leggendo la biografia di una straordinaria donna francese da poco consegnata alla storia, una scrittrice da lui presentata come una delle grandi signore dell’alta società parigina, rappresentante di una élite culturale e mondana, sopravvissuta alle due guerre, che viaggiava, sapeva divertirsi, […] lanciava le mode intellettuali sino a consacrare talenti artistici e inventare il gusto. Questa donna, che ebbe un’importanza notevole nello svolgimento di questa storia, si chiamava Louise de Vilmorin.
[2] Vicario, Zwobada …, cit., p. 32.
[3] Salvatore G. Vicario-Iosetta Giuriati, La Palombella di Palombara Sabina, “Annali n. 3” dell’Associazione Nomentana di Storia e Archeologia, suppl. a “Mezzaluna”, a. XV, n. 1, novembre 1997, pp. 131-134.
[4] Aa. Vv., Carpeaux e la Palombella, arte e amore, Aletti ed., 2009; è in corso la 2a edizione aggiornata; Aa. Vv., Giornata Carpeaux-La Palombella, Palombara Sabina 2009.
[5] Aa. Vv., Carpeaux e la Palombella, cit., p. 185.
[6] Lo scultore fu sempre tormentato dalla avidità del padre e del fratello Émile fino agli ultimi anni della sua vita; scrive Antonio Chilà, Lo scultore del Grande Impero, in “Carpeaux e la Palombella, cit.”, p. 35: “… Abitavano in Brompton Square ove c’era anche un modesto atelier che consentiva al nostro scultore di lavorare in tutta tranquillità, lontano dal padre e dal fratello, divenuti sempre più avidi. Erano persino giunti a costringere il debole Jean-Baptiste a chiedere in prestito all’Imperatrice cinquemila franchi”.
[7] Louise Clement-Carpeaux, La vérité sur l’Oeuvre e la Vie de J.B. Carpeaux, Dousset et Bigerelle, Paris 1934, p. 63. [8] Ibid.
[9] Cito, per Joseph Soumy, da Fabiola Mercandetti, Storia del bulino, 2007, p. 84: “Henriquel Dupont ricerca una variazione all’interno del sistema dei tagli, tradizionalmente sostenuto da “losanghe tristi e regolari” (Laran) e rende più libero il segno, attraverso una mescolanza delle tecniche, per una maggiore funzionalità espressiva. Tale libertà, sempre vincolata al tradizionale sistema di tagli incrociati e di intenso modellato, viene tramandato ai suoi seguaci Joseph P.M. Soumy e Charles Waltner, mentre tra i discendenti, si ricordano Jacquet, Boutelié, Rouseaux e Lèopold Flameng, quest’ultimo, di Bruxelles, allievo di Calamatta e Gignoux”.
[10] Franco Pompili, Palombella 1861-1961, promanuscripto composto di pp. 4, Palombara Sabina 1961.
[11] Clement-Carpeaux, cit., p. 64.
[12] H. Lapauze, Histoire de l'Académie de France à Rome, Paris 1924.
[13] Clement-Carpeaux, cit., p. 64.
[14] Qui la figlia Louise tramanda una confusione dei personaggi. La frase: “… colpita dalla vecchia madre avara e indigente” non è corretta. Vecchia era la nonna Mariarosa; la mamma, Mariagiovanna con Barbara, per lavoro scendevano a Roma insieme. Al momento dell’incontro della Palombella con Carpeaux sia Mariarosa che Mariagiovanna erano vedove. Nella gestione della famiglia, quindi, il matriarcato dava autorità a Mariarosa, la nonna.
[15] Clement-Carpeaux, cit., p. 64.
[16] La madre-madrona, cioè la nonna (n. d. A.).
[17] Aveva il permesso per scolpire il gruppo marmoreo seguendo i tratti del suo modello contestato, il modello dell’Ugolino (n. d. A).
[18] Il Pompili la tramanda come affetta da ‘tisi’ senza citare qualche fonte.
[19] Il certificato di morte, pubblicato in Aa. Vv., Carpeaux e la Palombella, cit., p. 215, la dichiara “di anni venti”. [20] Pompili, cit.
[21] Era una malattia molto frequente, al tempo, causata dalla insufficiente igiene assistenziale con conseguente infezione settica della cavità uterina: attraverso i seni venosi continuamente vengono riversati in circolo batteri e tossine che si formano con grande intensità sul posto della sepsi. All’inizio della forma morbosa, a volte, lo stato generale può essere poco scosso e dare anche una falsa euforia, ma sarà un quadro di breve durata: la tossinfezione fatalmente condurrà alla paralisi cardiaca.
[22] Il certificato è stato ritrovato, redatto in latino curiale e senza la causa della morte, e pubblicato da Angelo Gomelino, La storia della Palombella raccontata dagli organi di stampa …, ‘Carpeaux e la Palombella …’, cit., p. 215-216: “N. 39 – Nell’anno del Signore Milleottocentosessantuno il giorno 18 dicembre Barbara figlia del fu Pietro Pasquarelli, moglie di Bernardino Palmieri, all’età di venti anni, in comunione con la Santa Madre Chiesa, sotto questa parrocchia San Biagio di Palombara Sabina, ha reso la sua anima a Dio. Rev.mo Luigi Massimi, riconfortata nel corpo dalla confessione al SS. Cristo, fortificata dall’unzione dell’Olio sacro, raccomandata l’anima e aiutata nell’agonia, il suo corpo è stato sepolto nella Chiesa di Santa Maria del Gonfalone In fede. Così è, arciprete Giulio Belli.
[23] Cfr. nota 4
[24] Alexandre Falguière (Tolosa, 7 settembre 1831, Parigi, 19 aprile 1900). Le figure del F. hanno qualche cosa del fascino di quelle di J.-B. Carpeaux e degli scultori Secondo Impero, ma la molle modellatura tondeggiante rivela spesso concetti banali. In un periodo piuttosto povero di scultori, rappresentò bene l'arte ufficiale ed accademica (Enc. Ital. Treccani, ad vocem).
[25] Sur les traces de Jean-Baptiste Carpeaux, “Le Pavillon de Flore”, Grand Palais, 11 marzo-5 maggio 1975, e fig. 248.
[26] E. Benezit, Dictionnaire critique et documentaire des peintres …, t. 2°, Librarie Grund, Paris 1976, p. 543. [27] Clement-Carpeaux, cit., p. 65. Curioso che nessun tratto sia rimasto, opera di Carpeaux, della madre Mariagiovanna.
[28] Nayereh Maglietta, Morta d’amore Palombella per il suo segreto idillio nel bosco di Villa Medici, “Momento sera”, 2 luglio 1953, p. 6. In questo articolo l’Autore parlava di Palombella “uccisa dal mal sottile”, la tesi sposata poi dal Pompili e terminava scrivendo: “La gloria, la ricchezza, le gioie famigliali (di Carpeaux) e perfino gli insigni favori di cui lo colmava la bella imperatrice Eugenia, tutto aveva per lui un immancabile senso di vuoto. Ogni tanto scriveva ai nuovi pensionanti di Villa Medici chiedendo a loro di recare, per suo conto, i fiori sulla tomba della Palombella (...). È probabilmente al ricordo della Palombella che si deve la sfumatura di irrealtà che si scorge sui tratti sognanti dei personaggi di Carpeaux. La lieve sfumatura di una felicità vera e perduta”.
[29] Cfr. nota 3.
[30] Questa ‘sentenza’ fu pronunziata dall’emiro di Beddumunti in Sicilia: scacciato, dalla riconquista normanna, dai suoi possedimenti nella valle del Fitàlia, incontrato per mare un abitante di quelle terre che erano state di suo dominio, gli chiese che ne era del suo castello. Avutane, come risposta, che ormai era distrutto, nel pianto sentenziò: U ma casteddu ‘u sdirrupau ‘u tempu ch’è marteddu (il mio castello l’ha abbattuto il tempo che è martello).