Oggi incontriamo l'artista Igor Boza Borozan e ci facciamo raccontare il suo originale percorso artistico.

Da dove ha inizio il suo percorso artistico? Quali momenti ricorda di Sarajevo?

Sono figlio d'arte. La mia infanzia è trascorsa tra pennelli e colori, tra inaugurazioni di mostre e finissage, circondato da artisti di ogni tipo, pittori, scrittori, musicisti. Ero piccolo, sicuramente, ma questo è stato un imprinting molto profondo che ha lasciato un segno indelebile nel mio essere. Il mio percorso adolescenziale, artisticamente parlando, è stato influenzato dall'enorme fermento artistico di Sarajevo degli anni '80. Molto importante per me è stata la manifattura artigianale con influenza austroungarica, ottomana e, ovviamente, cristiana. Quindi basilare, direi, soprattutto è stata la cultura del disegno.

La sua è una formazione eterogenea. Che tipo di studi ha seguito?

Studi artistici ovviamente. Dopo i primi passi fatti nella bottega di un pittore di origine turca, ho frequentato un eccellente Liceo artistico che ha formato personaggi di spessore come Mersad Berber e Safet Sez e tanti altri grandi contemporanei. Successivamente sono entrato nell'Accademia di Belle Arti di Sarajevo per poi trasferirmi in quella della cittadina di Cetinje in Montenegro; qui ho avuto la fortuna di far parte della prima generazione dell'Accademia. Poi, in Italia, ho frequentato la scuola romana di disegno e illustrazione e ho conosciuto il grande Giancarlo Montelli. Mi sono mosso molto e sono stato davvero fortunato, ho incontrato personaggi eccezionali.

Può fare un confronto della sua formazione artistica tra est e ovest?

L'est europeo, artisticamente parlando, si può definire "conservatore", concedetemi il termine, molto legato a canoni tradizionali: rigore formale, disciplina, accademismo. L'ovest europeo è sicuramente più aperto alle contaminazioni "extra", quindi risulta più libero, più eterogeneo. Ma questo è dovuto sicuramente a un fattore storico-geografico. Quello che affermo si riferisce ovviamente alla mia esperienza personale, parliamo degli anni '80. Oggi l'arte sta cambiando, la globalizzazione si fa sentire anche e soprattutto in questo settore.

Come artista dunque, a quale nazionalità si sente di appartenere?

Sono fiero delle mie "origini artistiche", i Balcani costituiscono la zona orientale d'Europa, una terra di confine tra est e ovest, dove si incontrano e mescolano culture diverse: cattolica, ortodossa, ebrea e musulmana. Un mix incredibile, una ricchezza davvero grande, sotto ogni profilo. Non posso comunque negare che la mia produzione ha trovato il culmine della maturazione proprio in Italia. Ho avuto molti importanti riconoscimenti dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e dal Sistema Museo. Nel 2008 ho ricevuto il prestigioso Premio San Valentino Oro per l'Arte. Soprattutto, in Umbria, ho fondato un'Accademia di Belle Arti attiva da 15 anni, dalla quale sono usciti oltre mille giovani artisti, molti dei quali già professionisti. Non posso comunque negare la forte attrazione che sento verso la Spagna. Una terra straordinaria che mi ha incuriosito sin da bambino, quando all'età di circa sei anni ho avuto modo di visitarla grazie a un viaggio nella capitale Madrid, città austera e imponente. Dopo circa quarant'anni sono tornato e ho ritrovato le stesse sensazioni… era come se il tempo si fosse fermato. Mi sento un artista di adozione madrilena a tutti gli effetti.

Tornando all'Accademia di Terni, fondamentale è il "metodo", cosa ci può dire in proposito?

Il metodo è il fondamento universale per ogni attività, dal tipo di metodo applicato deriva il saper o non saper fare. L'Accademia di Belle Arti che ho fondato basa la sua filosofia proprio su questo, la conoscenza. Si parte innanzitutto dal recupero delle tecniche classiche del disegno, in assoluto del cartone preparatorio, sia per quanto riguarda la pittura da cavalletto che su parete. Respirare in Umbria le atmosfere di Giotto e dei suoi discepoli è un assoluto privilegio per insegnare e applicare tecniche come acquerello, affresco e tempera all'uovo. La cultura del bello, innanzitutto. Oltre questo, ho introdotto Color Lab, un percorso alternativo e trasversale per lo studio del colore, partendo dalla tavolozza degli antichi maestri italiani fino all'applicazione sulla web art, moda e make-up. Proprio quest'anno ho proposto come tema il colore per la grande mostra internazionale Enredadas 2014, durante la settimana definita dall’Unesco, la Settimana di Formazione Arts. 24 università diverse a livello planetario con oltre 50 artisti docenti partecipanti da tutto il mondo. Ogni paese ha dato un tema al proprio evento: per le esposizioni sono state scelte location di prestigio storico-culturale. Una grande mostra virtuale, un progetto internazionale che cerca la conoscenza in percorsi formativi diversi, in artisti provenienti da tutto il mondo. Da qui è stato coniato il termine "glocal", a significare come globale e locale possano interagire e dare ottimi risultati. A ospitare la mostra italiana per Enredadas 2014 è stato il Museo Eroli di Narni, appunto dal global al local, un grande successo. Sono fiero di aver portato l'Italia, per la prima volta, nel circuito interazione di Enredadas, stiamo già lavorando all'edizione 2015, ma non anticipo altro.

Lei si sente più artista o docente?

Vorrei innanzitutto dire che il mercato artistico negli ultimi venti anni ha perso sicuramente molti valori, soprattutto c'è una forte carenza nella formazione di base, si tratta ormai e purtroppo, di un puro meccanismo di marketing e management, pertanto moltissimi veri e validi artisti restano fuori dai giochi. Un peccato! Se si vuole vivere di questo lavoro occorre affiancarsi necessariamente alla politica anche se, ammetto, è un compromesso che sinceramente non approvo e non è per tutti. La docenza… è una missione vera e propria, è il tramandare l'esperienza dei grandi maestri, quindi mi sento in tutto e per tutto, un mezzo attraverso il quale continua a passare il flusso eterno della conoscenza. E' una sensazione straordinaria, il permettere la continuazione della cultura e del bello. Negli ultimi anni mi sto dedicando a un'intensa produzione artistica che spazia dalla pittura, alla ceramica, all'incisione, alle installazioni. Sto portando avanti anche progetti editoriali che hanno un taglio un po' particolare, sono in realtà Libri d'Arte.

La camicia è sicuramente il suo leitmotiv. Ce ne può parlare?

Si, la camicia è il mio "simbolo", sin dai tempi di Sarajevo. Ho iniziato con disegni a matita di piccoli e medi formati, per poi passare al colore in un'escalation creativa che ancora perseguo. La camicia è una metafora, è una sorta di contenitore, quindi, l'uomo, la sua essenza, ne è il contenuto. Le mie camicie non sono mai vuote al contrario di quanto sembri. Nelle camicie si riflettono persone, storie, percorsi. Ognuno può esserne il protagonista, questo è un bel gioco, perché ognuno può riflettere se stesso e guardarsi allo specchio. Tu cosa vedi?

Che cosa significa la Spagna per la sua arte?

Posso dire che mi sento fortemente coinvolto dalla Spagna. E' stata subito ispirazione. La mia prima esperienza è stata legata alla musica e alla danza del flamenco gitano, da cui nascono due libri d'arte, Limoni e Osmosis, dove ho inserito la danza orientale contemporanea di Cristiane Azem e la serie dedicata alla voce straordinaria di Diego el Cigala. La Spagna è un tripudio di sensazioni, colori, suoni, sapori e le ho volute trascrivere nei miei libri attraverso la pittura ma anche la ceramica, creando dei pezzi unici nella bottega di un maestro ceramista di Deruta. Per riassumere il concetto "Spagna" ho scelto il limone come simbolo non solo della straordinaria penisola Iberica ma del Mediterraneo tutto.

Attraverso la camicia lei sta tracciando un percorso artistico europeo trasversale: da Papa Francesco, Caravaggio, El Greco, passando per Diego el Cigala fino a Muchachito. Un diario di bordo tra arte, musica, danza e religione. Cosa può aggiungere?

Sì, davvero, la camicia rappresenta il simbolo del mio essere artista. Attraverso le camicie sto realizzando un diario di bordo imponente, ambizioso, è il mio viaggio. Caravaggio è stato il punto di partenza direi, le sue luci e le sue ombre hanno affascinato chiunque e ho pensato di impostare il mio secondo libro Abbozzo pittorico proprio sul contrasto eterno chiaro/scuro. In Abbozzo pittorico è concentrata sicuramente una parte importante del mio fare. Ho voluto focalizzare l'attenzione sulla fase principale della creazione di un dipinto, appunto quella dell'abbozzo. Una fase delicata, durante la quale l'artista imprime sulla tela i primi segni che poi prenderanno forma, con passaggi successivi. Stratificazioni, velature, fino al compimento dell'opera. I miei abbozzi pittorici li ho volutamente lasciati allo stadio iniziale come impressioni prese al volo e subito fermate sulla tela, come una testimonianza. Negli abbozzi c'è una magia particolare che tende a "perdersi", concedetemi il termine, nella fasi seguenti. Sono impressioni che restano indefinite e, proprio in questo, c'è una bellezza unica. In questo libro accanto a Caravaggio, arte classica per eccellenza, ho lavorato ispirandomi anche alla musica e alla voce di Diego el Cigala, un grande del flamenco gitano spagnolo. Nel volume successivo Osmosis ho introdotto anche la danza come movimento che dal palco si proietta sul supporto pittorico, evanescente, eterea. Ma è in Limoni il successivo libro dove ho sperimentato il tema della camicia attraverso la ceramica. Un'esperienza davvero interessante, grazie al supporto della bottega di un maestro di Deruta ho realizzato una serie di vasi dal design insolito, materializzando le camicie e qui, si evince, in concetto di partenza di camicia come contenitore.

Viernes è un libro che raccoglie contenuti di spessore, come l'opera a Papa Francesco…

Sì, nel 2013 ho realizzato la mia più imponente installazione, il saio più grande del mondo "JAN MMXIII" ispirato alla figura mistica di San Francesco e dedicato a Papa Francesco. 550 metri quadri di tela grezza, 26 metri di altezza, 11 metri di larghezza, queste le misure dell'opera. Esposta prima sul Ponte delle Torri di Spoleto per le Giornate Europee del Patrimonio 2013 e poi, appunto, ad Assisi sulla Rocca Maggiore in occasione della prima visita in Umbria del Pontefice. Viernes - sacro e profano, un libro d'arte dove ho catalogato tutti i passaggi, gli schizzi, i disegni che mi hanno portato a "JAN MMXIII", un percorso spirituale che ho seguito con trasporto profondo.

Sacro e Profano. Perché?

Sacro e profano sono le due facce dell'essere umano, il bianco e il nero. Viernes è il diario di un denso viaggio umano e artistico, è l'enorme contenitore dove confluiscono i miei fermenti creativi di questo 2013 appena trascorso. Un anno frenetico, direi. Dal sacro al profano appunto, con la camicia che si tinge di nero ispirata a Gavrilo Princip, che nel 1914 ha dato inizio alla Prima guerra mondiale, di cui questo anno 2014 ne è la triste ricorrenza. Un omaggio particolarmente sentito alla città di Sarajevo, teatro dell'evento che ha segnato la storia contemporanea. Vorrei sottolineare che questa opera è un monito contro ogni conflitto, l'ho realizzata e dedicata a tutti quegli intellettuali e artisti morti per le guerre, una perdita immensa…

Sfogliando Viernes troviamo anche Lorca, può parlarcene?

Lorca è un poeta appartenente a un gruppo di scrittori spagnoli che affrontò le avanguardie europee con risultati eccellenti. Sono partito dalla sua opera A las cinco de la tarde, questo componimento di Garcia Lorca è davvero esemplare della sua ossessionante concezione della morte, la quale, trasfigurata dal gioco macabro e barocco della corrida, predomina su tutto e invade ogni aspetto e accadimento della vita. A lui ho associato la cantante pop spagnola Bebe Nieves e ho illustrato metaforicamente il filo sottile che lega due artisti diversi ma "paralleli" con le tecniche del pastello e del disegno colorato. Il filo conduttore è il duende che ho acquisito dalla letteratura di Lorca e trasposto in chiave moderna facendolo interpretare dalla cantautrice e artista spagnola Bebe Nieves. La figura di Lorca, che rappresento nel libro con una camicia svuotata che appoggiata a un tavolo scrive, sembra raccontare la storia di questa straordinaria artista. Il lettore intuisce dai disegni la vita, la naturalezza, il carisma e la trasformazione, il duende che prende il sopravvento.

Il suo ultimo libro si intitola Azul, un prodotto editoriale incentrato sul colore ma ispirato molto anche alla musica, come mai questo connubio?

Azul è un libro sul Mediterraneo, culla delle più grandi civiltà della storia, le nostre radici profonde sono immerse in questo mare. Una scrittura intima e personale sul concetto di appartenenza, le origine impresse nel dna di ognuno di noi. Azul è un piccolo scrigno dove sono custoditi tanti acquerelli, ho scelto questa tecnica per plasmare i pigmenti della terra, i minerali, utilizzando appunto l'elemento acqua. Opere tra terra e mare, una giostra di colori, di sensazioni, che si susseguono pagina dopo pagina in un ritmo incalzante, crescente. Un focus sul colore e l'alchimia, fondamenti dell'arte. Arancione bruciato raccoglie e cataloga la serie di acquerelli che prendono forma proprio da questo colore molto simile alla sanguigna, tonalità calda e primordiale che rimanda la memoria verso terre lontane, consumate dal sole. Qui troviamo gli "abbracci", acquerelli ispirati al sentimento tradotto in simbiosi tra uomo e donna, corpo e anima, tra mare e terra… Terra verde è il capitolo che segue, ed è appunto il colore che l'artista sceglie per realizzare la serie ispirata all'elemento terra, all'erba, tanti fili sottili e sinuosi in punta di pennello scorrono veloci sulla carta umida, si intrecciano, si liberano come danzassero nel vento. E poi l'azul e il cobalto, colori delle profondità marine e delle trasparenze. Luci e ombre che poi riportano, inevitabilmente, ai colori del Mediterraneo, il blu nel blu con tutte le sue straordinarie gradazioni tra artificio e natura. Una carrellata di opere che spaziano dalla serie delle piscine, a quella delle palme e degli astici.

Anche in Azul ritorna il tema della musica, ma questa volta si tratta di rumba…

Sì, la musica è sempre uno dei miei "fili conduttori". In Azul subentra la rumba catalana, un genere musicale sviluppato dalla comunità rom catalana nella città di Barcellona, in Spagna, a partire da metà Novecento. Un mix tra ritmi che derivano dalla rumba, dal flamenco con influenze di musica cubana e di rock & roll. Ho conosciuto un musicista cantante di rumba davvero eccezionale, si chiama Muchachito, una vera forza della natura, un fuori classe. C'è uno straordinario connubio tra colore e musica, entrambi i linguaggi si basano sui toni e sul ritmo. Azul è comunque, e fuori da alcun dubbio, un ritorno al colore e alla pittura in un tempo, il nostro, dove la fotografia e le video-installazioni hanno preso posizione nel mondo dell'arte e non soltanto, invadendo, talvolta in modo eccessivo, gallerie e web. Non un regresso ma una presa di posizione ferma e solida che rivaluta il "fare arte" secondo la tradizione classica e il rapporto simbiotico tra uomo-colore-emozione.

Ci può anticipare i suoi progetti futuri?

Sto pensando di tornare in ex Jugolslavia, in senso metaforico ovviamente. Mi intriga la figura di Nikola Tesla, ingegnere elettrico, inventore e fisico serbo, una figura straordinaria poco conosciuta in verità. E poi, artisticamente, mi intriga un altro personaggio che ha tracciato la storia della mia terra e non solo: Tito, il dittatore. Insomma due "contenuti" importanti. Ci sto lavorando, ci sono già idee in cantiere, tutte da sviluppare…saranno dei bei progetti artistici. Ma non anticipo altro.