Titolo che fa riferimento alla Sesta sinfonia di Gustav Mahler, centrale nel corso della narrazione del film. Forse perché terminato da poche settimane, il film Le dernier coup de marteau è arrivato al Festival di Venezia 2014 in sordina, poco pubblicizzato. Mi attirava l’argomento Musica. Mi incuriosiva che parlasse di un padre direttore d’orchestra famoso e di un figlio adolescente che non sa nulla di musica, ma neppure conosce suo padre.

Ebbene, si è trattato di una bella sorpresa. A cominciare dal modo di raccontare della regista, Alix Delaporte, che torna a Venezia (questa volta in Concorso) quattro anni dopo il passaggio alla Settimana della Critica con l'esordio Angèle et Tony. Discorsi ridotti all’essenziale, tanti i problemi della storia del film presentati e poi spesso lasciati in sospeso, come nella vita avviene. Al posto delle parole parlano le immagini, i movimenti del corpo degli attori, tutti bravi a iniziare dal protagonista adolescente. Victor (Romain Paul), così si chiama, è alle prese con scelte di vita non facili, in un momento come l’adolescenza che già porta cambiamenti e problemi. Una madre malata di cancro, Claudia (Clotilde Hesme), che sembra arrendersi, un padre direttore d’orchestra, Samuel Rovinsky (Gregory Gadebois), mai conosciuto, di cui lei gli ha parlato da poco, perché è tornato per lavoro a Montpellier, dove vivono loro. Va coraggiosamente a trovarlo più e più volte, anche se respinto al primo incontro con durezza. Io non ho figli. Una fiducia totale nella madre lo porta a non farsi disarmare. Il tema della fiducia è pervasivo del film. Non stupisce che lo sia stato sul set.

Ecco al proposito cosa dicono gli attori. "Lavoro con Alix da ormai dieci anni - dice Clotilde - e da quando l'ho incontrata ho scoperto quanto il corpo diventi indispensabile per tratteggiare il carattere dei personaggi. Ho fiducia totale nei suoi confronti, altrimenti sarebbe impossibile lasciarsi andare in questo modo". Le fa eco Gregory: “C’era sul set un’atmosfera di totale fiducia, che permetteva di calarsi nel personaggio e di viverlo”. Frutto del passato di documentarista della regista? Può essere, visto il modo in cui giudica la buona riuscita delle scene, guardando ogni sera il lavoro svolto. “Sembra un documentario!” si sorprende a pensare. Ovvero ha ottenuto la veridicità della recitazione.

Importantissima anche la musica, da cui deriva il titolo del film. Non solo per sottolineare i movimenti, ma anche perché apre la possibilità di rapporto fra padre e figlio e, insieme, permette a Victor di lanciare un messaggio potente di speranza alla madre malata. Infatti, ha lasciato scritto Mahler, Il terzo colpo di martello nella VI Sinfonia (Tragica), può essere a discrezione dell’esecutore omesso, proprio per scongiurare una morte precoce.

E’ un bellissimo film, da godere senza farsi tante domande sul significato delle singole scene. I movimenti dei personaggi, abilmente orchestrati (è il caso di dirlo), lasciano aperti esiti differenti. E’ la forza dei rapporti veri che ci portiamo via dalla visione, non delle soluzioni di vita. Non è però possibile non far notare quello che è, fra i tanti, un piccolo gioiello di messaggio comunicato dal film, e cioè che, se i genitori stimolassero maggiormente i figli adolescenti, non assisteremmo alla diffusione ubiquitaria del solo amore per il calcio, che spesso sembra essere l’unica fonte di interesse nel tempo libero per maschi grandi e piccoli.