L’arte è comunicazione, è espressione di un sentimento, di uno stato d’animo. Non solo è importante ciò che si comunica ma anche il modo con cui lo si fa. Quando comunicando si arriva al cuore del fruitore allora è arte.

Edward Much, rappresentante di uno dei movimenti pittorici, l’Espressionismo, più rappresentativi del secolo scorso, “comunicava” in modo magistrale. Comunicava la sua sofferenza, la sua malinconia, la sua inquietudine d’animo, il suo malessere, la sua paura. Un pittore, un uomo, tormentato e sopraffatto dal dolore, a causa di una vita che gli ha presentato solo questo e nient’altro. Un’esistenza trascorsa tra importanti e devastanti perdite famigliari e fronteggiando i malesseri dell’animo.

In tutto questo, Edward Munch ha trovato rifugio nell’arte e nell’unico modo possibile in cui poter sfogare e condividere una parte, quella più drammatica, del suo vissuto. La morte della madre e dell’amata sorella Sophie, dopo una devastante malattia come la tubercolosi, la depressione del padre, la pazzia dell’altra sorella Laura e la morte del fratello. A questa serie di lutti e di malesseri, si aggiungono momenti di grande abbattimento e di solitudine.

In questo contesto, trova la sua forza, il perno su cui fare pressione, come unico modo per andare avanti, nell’arte, nella pittura. Non solo, ma anche nel modo di dipingere e nel tipo di materiali che utilizzava è concentrato tutto il suo tormento.

Nel quadro La bambina malata, opera che cristallizza uno dei momenti più inquietanti della sua esistenza, gli ultimi istanti di vita della sorella Sophie, non è solo ciò che viene dipinto ma è il modo in cui il pittore ha “trattato” la tela. L’opera di grandi dimensioni, 120 x 118,5 cm, sovrasta l’osservatore rovesciandogli addosso la sofferenza di quel corpicino emaciato, dal volto pallidissimo, con accanto una donna, accartocciata su se stessa, che la veglia negli ultimi istanti di vita.

A parte ciò che traspare, quello che colpiscono sono la texture del supporto e la consistenza del colore, molto materico. Questo perché, una volta terminata l’opera, Munch ha raschiato il colore dalla tela, ha diluito il colore con la trementina che lo ha trasformato in chiazze grumose colate lungo il supporto. Tutto ciò era per essere sicuro che tutta l’attenzione dell’osservatore fosse unicamente concentrata sui veri protagonisti del quadro: la sofferenza che gli stava procurando la malattia che stava martoriando il corpo della sorella e il dolore nel vedersi spegnere, un po’ alla volta, una delle persone a cui era più affezionato.

Nel 1893, Edward ci regala ancora un pezzo rappresentativo della sua pittura, La morte nella stanza della malata. In quest’opera, viene raffigurata l’attesa dello spettro della morte. Il pittore ha cercato di raccontare non solo quello che è il dolore fisico ma anche quello dell’anima. L’ansia, il tempo che scorre lento e che scandisce attimi di sofferenza in attesa di separarsi, per sempre, da una persona cara. Il pittore ci coinvolge, in modo prepotente, nel suo lutto, obbligandoci a partecipare a ciò che sta provando, creando inequivocabilmente un sentimento empatico. Chiunque abbia perso una persona cara non riesce a rimanere impassibile davanti a queste due opere.

Ci sono quadri dai titoli esplicativi: l’Ansia, Malinconia, l’Angelo della morte, Amore e dolore, Separazione, che proseguono il viaggio delle varie tappe dell’inquietante tormento di Much. Ogni quadro è una sosta per un assaggio della sua vita.

La sua opera più famosa, ad ogni modo, resta L’urlo. Di questo quadro ci sono diverse versioni. Quella più conosciuta è quella del 1910, custodita (anche se è stata oggetto di un importante furto) nel museo di Oslo, dedicato al pittore norvegese. Il quadro raffigura una figura, al centro, deformata e compressa da un urlo talmente potente da scontornare e da devastare tutto ciò che la circonda. Il paesaggio è indefinito e appena accennato. La stessa protagonista al centro sembra un manichino stilizzato che vibra sulle sonore note di un urlo angosciato e terrificante. C’è più empatia e suggestione in questo quadro che in tutto il catalogo delle opere di Munch. A chi non è mai capitato di ritrovarsi in un luogo, al chiuso o all’aperto, con una matta e disperata voglia di gridare fino a restare senza fiato, con la vana speranza, che attraverso quel suono possa venir fuori tutto ciò che, dentro di noi, ci affligge.

Edward Munch è stato un vero esempio. Si può sopravvivere al dolore solo se riusciamo ad esternarlo. Non ha ceduto alla pazzia o al suicidio. Non dobbiamo vergognarci di ciò che proviamo, soprattutto se è sofferenza perché solo attraverso la condivisione e l’esternazione possiamo provare un po’ di sollievo, riuscendo a non soccombere a causa del dolore.