Spesso mi trovo a confrontarmi con le persone che vengono in studio e anche colleghi o amici relativamente al concetto del valore di sé fonte di della nostra considerazione che abbiamo di noi stessi in relazione a varie dinamiche come la reazione ai problemi di tutti i giorni ,alla necessità di risolvere determinate questioni, alla volontà di sentirsi più o meno motivati o alla relazione con gli altri. Il valore di sé cresce con noi, cresce in relazione anche all'esperienze ambientali in cui noi viviamo fin da piccoli a ciò che riusciamo a filtrare dalla nostra cultura ed educazione dai modelli familiari, sociali e scolastici.

Avere presente il valore di se stessi è utile per poter creare una struttura forte indipendente della nostra personalità per poter quindi fronteggiare gioie e dolori. Immaginiamo di essere come un tempio e di conoscere i nostri valori di base, le nostre fondamenta: partendo da qui potremmo poi costruire il tempio, quindi inserire i mattoni, le finestre, il tetto e il recinto per poterci difendere. Il valore di sé quindi poi risiedere in ciò che si fa o anche nella persona che si è si crede di essere e si può diventare.

Il valore non è infatti solo nel risultato di azioni ma anche nella persona che crede di valere, delle rappresentazioni di sé in relazione a ciò che riesce a fare e che sente che sia più adatto a se’ e al livello di successo nella vita. E’ un valore assai stabile che si costruisce quindi nel tempo: i compiti, le situazioni, i fatti cambiano e anche la persona si modifica nel tempo. Si parla spesso di una differenza tra il Sé reale e il Sé ideale: diversi autori in psicologia hanno ideato questa teoria e si è modificata anch'essa nel tempo.

Ognuno di noi ha delle rappresentazioni personali di chi è adesso e corrisponde al Sé reale e di chi sarà o potrà essere nel futuro che sono motivanti per agire: tra questi Sé futuri c'è una distinzione tra il Sé ideale la persona che vorrei essere, con il Sé imperativo la persona che dovrei essere. Il Sé ideale è caratterizzato dalle aspettative, dai desideri e i valori che portano a voler essere; il Sé imperativo invece fa riferimento alla persona che sentiamo di dover essere anche in base alle aspettative ambientali, familiari, sociali.

Spesso mi confronto per poter comprendere se ciò che noi sentiamo del valore di noi stessi è relativo alle aspettative che sono al di fuori di noi: è importante per poter costruire il proprio tempio, potersi conoscere, per poter gestire quel “dovrei essere” in modo che risulti equilibrato con ciò che voglio essere. Spesso dico “rappresentati” per conoscerti.

Rappresentarsi non è semplice: i bambini solitamente creano disegni che rappresentano se stessi e spesso sono molto più connessi degli adulti ,sanno chi sono e ciò che desiderano, parlo di bambini senza problematiche particolari.

L'adulto, per l'esperienza che dicevamo prima, è portato a ad avere su di sé un bagaglio di un mondo che lo ha influenzato a tal punto dal disconnetterlo con sé stesso, un mondo esterno a sé e che spesso lo porta al di fuori di sé quindi non è in grado di entrare in contatto intimo con se stesso per potersi definire. L’adulto non conosce intimamente gli aspetti in luce gli aspetti in ombra della sua personalità, che valore dà a se stesso, che tipo di necessità senta per sé, focalizzandosi su ciò che sono i doveri verso l'altro, verso la propria famiglia distaccandosi da sé stesso.

Spesso confondiamo le nostre necessità con le necessità dell'altro, probabilmente perché alla base sentiamo di dover compiacere l'altro per essere riconosciuti e amati. È pertanto possibile distinguere tra rappresentazioni proprie ,che definiscono il modo in cui ognuno si vede e rappresentazione degli altri, che si riferiscono al modo in cui gli altri ci vedono.

In un’ottica motivazionale, le differenze individuali riguardano una posizione di coerenza o di discrepanza: in una situazione coerente, le persone definiscono il proprio Sé attuale in modo simile ai propri ideali e valori, in altri casi possono percepirsi diverse, spesso inferiori o inadeguate da come vorrebbero essere secondo ideali propri o espressi da altri. Queste discrepanze influiscono sulla motivazione, sulla sfera emotiva: se prevale la discrepanza tra come noi ci percepiamo e come noi vorremmo essere tenderà a corrispondere un'insoddisfazione con relative emozioni di tristezza e avvilimento per non riuscire a vivere e a essere come si vorrebbe. Ne derivano comportamenti caratterizzati dal ritiro e disinteresse e quindi un calo nelle componenti di tipo motivazionale.

Se si prende in considerazione la visione che gli altri hanno di Sé , si potrà percepire un senso di vergogna e quindi evitare situazioni in cui palesemente si rischia di mostrare agli altri gli aspetti più deboli di sé. La costante è la paura di non esser bravi abbastanza o di fare brutta figura: questa dinamica funge da freno impedendo lo sviluppo di un buon livello di motivazione e può bloccare la persona.

Quando invece la discrepanza è relativa a ciò che “dovrei essere” da parte di altri si tende a vivere un senso di controllo che frena le spinte ad essere autonomi ad assumersi le responsabilità e anche dal punto di vista motivazionale non ci sarà una un coinvolgimento nell'azione. Il quadro che emerge è “dover fare perché bisogna” quindi dare all'esterno di sé il motivo per muoversi, per creare, per agire come “far contento l'altro o far tacere l'altro”.

Il cambiamento quindi si può innescare con la presa di consapevolezza tra la distanza fra ciò che si è e si sta realizzando e quanto si ritiene giusto opportuno in base ai propri valori. Domanda: tu sai chi sei? Ti conosci? Sai quali sono i tuoi valori? Un buon percorso di riscoperta di te.