Oggi compio 46 anni. Non sono pochi, non sono tanti. Il punto è che di testa me ne sento massimo 32 ma a volte il corpo me ne butta addosso una settantina.

La mia anima è antica e spesso mi sento di un’altra epoca come se fossi del 1800 ma la realtà resta la stessa: compio 46 anni.

Spesso me li dimentico e dico 44, non per tirami indietro anni, semplicemente perché non li conto e non me li sento.

Sì, il mio corpo non è più lo stesso: il metabolismo è rallentato, non riesco più a reggere con la stessa leggiadria di prima un paio di bicchieri di vino e ho cominciato a fare la “ginnastica” del viso per contrastare la forza di gravità.

Nonostante questo, continuo ad essere convinta che invecchiare sia un privilegio.

Invecchiare, oggi, nel 2022, è un privilegio, in questa parte del mondo, in questa società. La vita si è allungata e la qualità della vita della terza e quarta età è incredibilmente buona grazie alla medicina preventiva, ai supporti sociali e familiari, all’attenzione anche politica che c’è verso questa fascia di età.

Anche gli studi sulla plasticità neuronale confermano che se certamente i neuroni sono tra le cellule del corpo umano che non si rinnovano e cominciano un lento ma inesorabile decadimento già dai 20 anni, quello che continua a trasformarsi e ad arricchirsi è la complessità e l’architettura delle connessioni tra i neuroni che più vengono allenati più restano vitali e attivi. Ad ogni età.

Ma quando dico che invecchiare è un privilegio, intendo soprattutto che invecchiare per me è un privilegio. Quando hai avuto il cancro da giovane e sei sotto controllo da una vita, o hai una malattia cronica, invecchiare è un regalo.

Cominci a guardare la vita da un’altra prospettiva.

Ogni compleanno, ogni anno in più, vedere tuo figlio crescere, poter sperare di vederlo adulto è un dono che sento e una preghiera che spesso faccio.

Non è retorica: è qualcosa a cui in genere non si pensa. Perché non ci piace pensare alla malattia, alla morte. E purtroppo associamo la vecchiaia con questi concetti, erroneamente.

Solo chi ha avuto un’esperienza oncologica o ha una malattia cronica o degenerativa può capirlo: ma aprire uno spazio mentale a questo pensiero, anche in chi è in salute, può cambiare prospettiva verso la vita.

Guardare alla vita da queto punto di vista farebbe bene a molti, molti che hanno perso il senso, la direzione, la motivazione.

Spesso nella quotidianità te lo dimentichi ma tornare col pensiero alla minaccia della morte, paradossalmente, come dicevano già i filosofi antichi, ti porta con più vividezza e consapevolezza alla vita.

Invecchiare nelle società arcaiche e tribali invece – ma non per questo primitive – è sempre collegato alla saggezza, alla comprensione profonda delle leggi della vita: gli anziani si avvicinano all’Universo e diventano sciamani, sciamane, curandere, donne e uomini di medicina.

In alcune popolazioni del Sud America la menopausa, per esempio, lungi dall’essere un problema, è invece il passaggio dalla maternità individuale alla Maternità Universale, una sorta di porta verso il Divino.

Da noi invece la menopausa è patologizzata, medicalizzata e la donna viene trattata una volta di più come carne da studio, come qualcosa di inadeguato ed essere anziani viene nel senso comune associato con la devitalizzazione, la perdita di potere sociale e interpersonale.

Oppure si assiste alla reazione contraria: la negazione assoluta della vecchiaia come fase naturale della vita.

Programmi televisivi che fomentano comportamenti adolescenziali in signore e signori che potrebbero avere benissimo una vita amorosa coerente con la loro età e che invece si snaturano spesso al limite del ridicolo.

Il ricorso alla medicina e chirurgia estetica è ai suoi massimi storici e sforna visi di donne e uomini tutti uguali, tutti gommosi e inespressivi.

Mi piacciono gli anziani che usano Facebook, e i social in generale, riprendendosi una libertà e una socialità mai nemmeno sperata.

Ma mi piacciono ancora di più gli anziani che accettano l’immagine che lo specchio rimanda loro: la narrazione dettagliata della loro storia scritta sul viso. Avere delle rughe e un volto segnato significa che hai vissuto, hai riso, hai pianto, hai amato e hai sofferto.

Ho odiato per tanti anni le mie borse sotto gli occhi: le guardavo allo specchio e mi rimandavano un’immagine di malattia di stanchezza.

Ma era la verità.

Venivo da cinque anni di lotta contro il cancro, avevo una relazione amorosa difficile e non nutriente, mi sentivo spesso sola, lavoravo moltissimo e sentivo ogni emozione all’ennesima potenza a causa della mia sensibilità.

Perché il mio viso avrebbe dovuto mentirmi?

No, il corpo è il migliore alleato di tutti noi e se lo guardiamo con attenzione e compassione ci dà le indicazioni per il nostro benessere.

Se invece lo manipoliamo, lo rendiamo artificiale, non riesce più a comunicare con noi e perdiamo una risorsa preziosa, la bussola fondamentale per il nostro benessere.