“Il mondo che cercavo di far vedere era un mondo dove stavo bene, dove la gente era gentile, e dove trovavo la tenerezza di cui avevo bisogno. Le mie fotografie potevano dimostrare che un mondo del genere poteva esistere”. E' quanto affermava il “fotografo umanista” ed uno dei più grandi fotografi francesi, Robert Doisneau, al quale Palazzo Roverella, a Rovigo, dedica una mostra monografica a cura di Gabriel Bauret. Ben 133 le fotografie ripercorrono le fasi più seducenti di un autore che segnò il passo della scena fotografica internazionale e che raccontò con viva sensibilità, la ville lumiere e i suoi caratteri quotidiani, ma anche quelli più autentici e umani da cui emerge l'intimo spettatore che è stato Doisneau (1912-1994), interprete in grado di creare un vero e proprio album di famiglia nel quale identificarsi, e dove ritrovare forme e caratteri del proprio tempo.

Nato nel 1912 a Gentilly un sobborgo di Parigi, un luogo che segnerà profondamente la sua vita. Orfano dall'età di 7 anni, la sua formazione avrà luogo prima all’école Estienne di Chantilly, e in seguito nello studio del fotografo modernista André Vigneau. A ventidue anni viene assunto dalla Renault come fotografo industriale, e nel 1939 è all’agenzia fotografica Rapho, per la quale lavorerà per circa cinquant’anni. E In Doisneau vivono i tratti salienti del talento dei grandi artisti: dai suoi studi di disegno e incisione alle frequentazioni ispiratrici con Jacques Prévert con cui collaborò, Alberto Giacometti, Pablo Picasso, Fernand Léger e Henri Cartier Bresson.

Il grande fotografo francese rappresenta uno degli esempi più significativi di reportage umanistico, di cui sono efficace testimonianza le immagini su Parigi, lungo le strade tra la gente comune, nei bistrot, o tra i clochard; nei mercati di Les Halles, o i caffè esistenzialisti di Saint Germain des Prés - punto d’incontro per intellettuali, artisti, musicisti, attori - o nei sobborghi e la periferia di cui fu un grande narratore.

L’esposizione veneta si apre con la sequenza dedicata ai bambini. Si tratta di immagini che riportano la memoria all’ infanzia e alla fanciullezza, esempio di una straordinaria innocenza. Sono così “Petits enfants au lait” con due bambini mano nella mano davanti a una latteria, e “les freres” - due fratelli intenti in una capriola lungo la strada ai bordi del marciapiede. Ma bellissimo è “L’enfant papillon, Saint – Denis, 1945” con un bambino che indossa un grembiulino in una stradina del dopoguerra, o “la sonnette” sorta di ritratto di bambini un po’ monelli a suonare i campanelli, e altrettanto poetiche sono le immagini che ritraggono i bambini in classe (1956) nel corso della lezione. E poi la guerra, 1940-1944 durante l’occupazione e nelle fasi della liberazione, fra strade deserte e innevate, e giovani ragazzi del Fronte della resistenza francese in un momento di riposo. Ma tra i temi centrali di Doisneau, è il lavoro con gli operai alla catena di montaggio della Renault, le donne a Montrouge, la passarella di Villeneuve-Saint-Georges, e i pendolari sul treno. Ma straordinario cantore delle periferie parigine, Doisneau lo è stato davvero come testimonia “Au Bon coin, Saint – Denis, 1945”, “Les Premiers Pas” con un bambino che muove i primi passi con la mamma lungo una stradina sopra un cavalcavia, un falegname all’opera lungo il marciapiede in rue Saint-Louis en-l’ile sotto l’occhio vigile e discreto di una bambina, lungo la Senna tra innamorati o la “corte degli artigiani”.

Incredibile e sorprendente autore in quel mitico bacio davanti all’Hotel de Ville (1950), icona della metà del Novecento, simbolo dell’amore ma anche costruzione dell’immagine in quanto i due innamorati erano “complici” dell’azione e dello scatto di Doisneau, a cui farà da contrappunto, qualche anno dopo, “Il fox terrier sul Pont des Arts”. Ma la complicità come empatia e come motivo di una rappresentazione ricorre spesso nelle inquadrature e negli scatti del fotografo francese. Come in uno spazio scenico nel quale raccontare storie e vicende di una città e dei suoi protagonisti. Come nel ritratto di Mademoiselle Anita il cui sguardo assorto e assente volge altrove, mentre assai più ambiguo è l’occhiolino del signore che sbircia in obliquo un quadro interno ad una vetrina (“la vetrina di Romi) che rappresenta un nudo di donna. Un vero e proprio “pescatore” di immagini Doisneau lo è stato, eccome. Che dire dell’agente immortalato davanti “l’Inferno”, una saracinesca chiusa sorta di bocca di una maschera infermale davanti alla quale transita impassibile l’agente di polizia. E sublime è anche bacio a bordo di un carretto di due giovani innamorati (“Blaiser Blotto). O ancora la sequenza di matrimoni a piedi, ordinati lungo la strada come in una processione, fino alla serie dei ritratti di grandi artisti francesi: da Albert Camus ad Aldré Malreaux, da Jacques Prevert a Tati tra i pezzi di una bicicletta scomposta, Jean Cocteau, e un affascinante Picasso, straordinario “modello “ del repertorio di Doisneau. Georges Braque e Dubuffet, Giacometti nel suo atelier e Fernand Leger, completano un quadro dell’umanità fotografica o di chi ha colto nell’anima, con il proprio sguardo come Doisneau.