Nella storia architettonica del nostro Paese troviamo spesso, andando a ritroso nel tempo, rimaneggiamenti più o meno consistenti, ampliamenti e rifacimenti sempre partendo da costruzioni preesistenti. La storia di oggi non fa eccezione.
Siamo nella Valdelsa in Toscana, al confine tra la provincia di Firenze e quella di Pisa dove il fiume che dà nome alla valle sfocia nell’Arno. Terra di grandi commerci fluviali e di feroci dispute per il loro controllo, già in epoca longobarda aveva un sistema di torri di avvistamento a controllo del fiume e delle merci.
In particolare, una di queste fu ampliata in epoca alto medievale da tal “Benno” e messa a guardia del ponte sul fiume sottostante. Dal 1100 le potenze di Firenze, Pisa e Lucca sgomitavano per il controllo della zona. La Chiesa aveva un ruolo di primo piano in questa contesa, con la parrocchia di Santo Stefano, della potente diocesi lucchese, adiacente alla torre a contrapporsi allo straripare della diocesi fiorentina in cerca di nuovi possedimenti. Pisa in questo periodo storico non aveva ingerenza su questa zona anche se l’imperatore Federigo nel 1161 confermava la giurisdizione di Pisa fino al corso dell’Elsa, dalla Torrebenni “ad Arnum et ad Cannetum”.
La storia però ci insegna che le prerogative feudali erano in mano ai conti Guidi, signori di Toscana, Romagna ed Emilia, almeno fino al 1182 quando, con l’assoggettamento di Empoli al comune di Firenze, la città del Giglio prende potere nella zona.
Intanto, nella zona sottostante la torre, si era venuto a creare un borgo, detto di Santa Fiora, che ben presto assunse il rango di comune partecipando alla campagna del 1260 contro Siena. Il Trecento fu il secolo nel quale il borgo raggiunse la massima espansione e la massima autonomia municipale, ma fu anche un periodo travagliato da grandi catastrofi, quali l’alluvione disastrosa del 1333, e dai continui conflitti bellici che, con le ricorrenti incursioni di Uguccione della Faggiuola e di Castruccio Castracani, di Mastino della Scala e delle sue masnade, segnarono l’ostilità di Pisa e di Lucca contro Firenze.
Le interminabili guerre viscontee fecero il resto. La scorreria più feroce e distruttiva fu quella di Ciupo degli Scolari, un fuoriuscito fiorentino al soldo degli scaligeri, che nell’agosto del 1336, saccheggiò pesantemente tutto il territorio. L’impero continuava a proclamare la signoria pisana sul borgo di Santa Fiora e la Bolla d’oro di Carlo IV, ancora nel 1356, riconfermava gli antichi privilegi ormai in desuetudine. Per tutta risposta, anche in vista dell’imminente occupazione di San Miniato, la Repubblica Fiorentina deliberava uno stanziamento “pro fortificazione castri de Sancta Flore” con provvisione del 12 settembre 1368.
Nel Quattrocento terminò ogni tipo di autonomia e il borgo viene accorpato nel comune di Monterappoli, cui rimase aggregato fino alla riforma amministrativa leopoldina del 1774 per passare sotto Empoli.
La vecchia Torrebenni non aveva più alcuna funzione militare. Divenuta una bastia, le sue fondamenta servirono da sedime per l’impianto di una “casa da signore”, secondo lo stile e la tipologia propri degli architetti rinascimentali.
Comincia nel Cinquecento la vera storia della Villa della Bastia, nel 1512 un documento attesta la proprietà alla famiglia fiorentina dei Pucci, veri artefici della costruzione del nuovo complesso edilizio. Proprietà che, come vedremo, durò poco. La famiglia Pucci fu nemica acerrima dei Medici fin dal loro insediamento al soglio ducale di Firenze, cospirò più volte senza successo contro Cosimo I fino ad esserne travolta. Tutti i beni gli furono confiscati nel 1559 in forza di una legge emanata ad hoc tra cui la “casa di Puccio di Rinaldo Pucci posta loco dicto al Ponte a Elsa nel Castello di Santo Stefano alla Bastia.
Cosimo trasmette in dote i possedimenti dei Pucci all’ordine dei Cavalieri di Santo Stefano di Pisa che amministreranno queste proprietà fino alla metà del Seicento.
Con il passaggio di mano del 1650 ai conti Orlandini, la villa subirà la maggior parte dei lavori di ampliamento e ristrutturazione fino all’aspetto e alla volumetria attuali. Villa Bastia diventa a pieno titolo una lussuosa dimora di campagna. La villa resterà in mano a questa famiglia fino al 1852 quando il conte Fabio Orlandini, sommerso dai debiti, vendette tutto il complesso ad un personaggio di spicco dell’economia empolese, Amedeo Del Vivo.
Attivo in molti ambiti, dai trasporti fluviali alle concerie e al vetro, Del Vivo aveva anche una forte influenza sulla storia politica del tempo. Si racconta che, quando fu inaugurata la tratta ferroviaria Empoli-Siena, pretese e ottenne la costruzione della stazione di Ponte a Elsa non prevista dal progetto, solo per raggiungere comodamente la sua nuova proprietà, Villa Bastia.
Fu in questo periodo che la villa venne ammodernata e i suoi ambienti decorati finemente con affreschi e trompe l’oeil rendendo le stanze confortevoli e sobriamente lussuose.
Oggi Villa Bastia giace in un silenzioso abbandono. Fatta oggetto di una speculazione immobiliare non andata a buon fine, guarda assorta il resto del borgo completamente ristrutturato mentre le sue stanze restano piene di polvere e ricordi.
Ancora una volta non abbiamo saputo tutelare un bene immobile pieno di storia, protagonista nel territorio da centinaia di anni, solo per portare aventi il profitto a tutti i costi.