L’avvento della frutticoltura moderna, in Italia avvenuta intorno agli anni Cinquanta dello scorso secolo, ha portato alla rapida sostituzione delle varietà antiche, coltivate nelle nostre campagne fin da tempi molto lontani, con varietà moderne, più produttive, efficienti e adatte alla raccolta meccanizzata.

Questo ha comportato un grave abbattimento della biodiversità e un gravissimo aumento dell’uso di fitofarmaci e concimi, essendo i frutti moderni molto esigenti in fatto di nutrizione e più sensibili ai parassiti.

Se questo grande patrimonio, botanico ma anche culturale, non è andato perduto, dobbiamo ringraziare la lungimiranza di alcuni ricercatori e vivaisti che da una quarantina d’anni o giù di lì hanno iniziato ad andare alla loro ricerca, negli orti, nei giardini, accanto ai cascinali di tutta Italia.

I frutti antichi rappresentano, infatti, un’importantissima risorsa genetica alla quale attingere nei lavori di miglioramento genetico volti a un’agricoltura ben più sostenibile di quella attuale, essendo in genere resistenti a parassiti, avversità e cambiamenti climatici. Oggi sono ampiamente disponibili presso diversi vivai italiani, fra cui Piante Omezzoli di Riva del Garda, Vivai Belfiore di Firenze, e Vivai Maioli di Reggio Emilia.

Accanto alle varietà antiche, sono stati reintrodotti in coltivazione anche i cosiddetti “frutti minori”, un tempo diffusi e utilizzati nella nostra alimentazione, freschi o trasformati in marmellate, sciroppi, fermentati e liquori, in alcuni casi caratterizzati da proprietà curative. Sono piccoli alberi o arbusti, facili, robusti, rustici e sani, molti utili in un giardino come piante ornamentali e in parte da siepe: i loro frutti rappresentano una preziosa fonte di nutrimento per la fauna selvatica, ma sono anche commestibili per l’uomo, freschi o/o trasformati a seconda dei casi.

Cominciamo dal gelso, meraviglioso albero da ombra, diffuso nelle nostre campagne, nei viali e nei giardini delle ville antiche e nei giardini: citato da Ovidio nelle sue Metamorfosi e da Dante in un passo del Purgatorio, è stato coltivato fin dall’antichità. Le sue foglie sono nutrimento per i bachi da seta e i suoi i frutti, simili a more allungate, ricchi di vitamine e dalle proprietà rinfrescanti, maturano scalarmente in estate e sono squisiti freschi, in marmellate, granite, gelati, sorbetti e distillati.

A foglia caduca, molto longevo, resistente al freddo e al caldo e adattabile a ogni terreno, il gelso si distingue in tre specie, differenti per dimensioni della pianta ma soprattutto per il colore dei frutti: rosso molto scuro, quasi neri, in Morus nigra, rosso acceso in Morus rubra, e bianchi in Morus alba. Quest’ultimo proviene dalla Cina, dove veniva coltivato fin da tempi lontani per la bachicoltura: da lì è arrivato in Persia e poi a Bisanzio, da dove il re normanno Ruggero II lo ha introdotto in Sicilia, a questo stesso scopo, nel 1130, per diffondersi poi, nei successivi quattro secoli, in tutta Italia; i suoi frutti sono però piuttosto insipidi, al contrario di quelli dolci e succosi del gelso nero, specie nota nell’antica Grecia e in epoca romana. Il gelso rosso arriva invece dal Nord America e ha frutti più piccoli ma altrettanto dolci e succosi. Attenzione però a dove piantate un gelso: non a ombreggiare automobili, un tavolo o una pavimentazione, che verrebbero sporcati dai loro frutti, caduti a terra.

Anch’esso coltivato e diffuso presso Greci e Romani, ma originario del Medioriente, il giuggiolo (Ziziphus Zizyphus) è un arbusto-alberello spinoso, a foglia caduca, a lungo diffuso delle nostre campagne. I frutti, simili a olive, hanno buccia e polpa verde-marrone, a circondare un grosso nocciolo: maturi in settembre, molto aromatici, dolce e aciduli, si consumano freschi o secchi, quando diventano più zuccherini. Ne esistono anche varietà dai frutti molto più grossi e polposi.

Originario dell'Europa meridionale, un tempo ampiamente coltivato per integrare la dieta della popolazione rurale, il sorbo (Sorbus domestica) è un albero che raggiunge i 10 metri di altezza, molto robusto e longevo, lento a entrare in produzione, particolarmente adatto alle zone montane. I frutti, chiamati sorbe o sorbole, si raccolgono in ottobre: ricchi di tannini, risultano al momento molto astringenti e diventano commestibili solo dopo un periodo di “ammezzimento”, che tradizionalmente veniva effettuato nella paglia, nei fruttai, fino a che la polpa imbrunisce e diventa morbida e cremosa.

Hanno bisogno di un periodo di ammezzimento anche i frutti del nespolo comune o nespolo invernale (Mespilus germanica), un piccolo albero cespuglioso di circa tre metri di altezza, originario dell'Europa meridionale e dell’Asia Minore: le sue nespole, molto ricche di fibre e delle vitamine del gruppo B, conosciute e apprezzate da Greci e Romani, in seguito venivano consumate cosparse di zucchero e acquavite, in conserve o candite, una volta trascorso il periodo di maturazione sulla paglia (conoscete il detto “Col tempo e con la paglia maturano le nespole”?).

Un’altra pianta da frutto particolare, diffuso in natura nel Mediterraneo e nel Sud-Est europeo, oltre che in molti nostri giardini e terrazzi, è il corbezzolo (Arbutus unendo), arbusto o piccolo albero (raggiunge nel tempo i 5 metri di altezza) sempreverde, dalla corteccia rosso-marrone e dalle foglie verde scuro lucido. Fiorisce fra ottobre e dicembre, formando mazzolini di piccoli fiori panciuti, bianco rosati, penduli, che nell’arco di un anno si trasformano in bacche rotonde, dapprima verdi e poi arancio e infine rosse, dalla polpa bianca, consistente e zuccherina, da consumare freschi, in marmellate, sciroppi e succhi (senza contare la bontà del miele di corbezzolo): fioritura e maturazione dei frutti avvengono quindi in contemporanea, rendendo la pianta particolarmente decorativa nel periodo natalizio. Rustico e robusto (è però sensibile agli afidi e all’oziorrinco), il corbezzolo predilige terreni moderatamente acidi, pur adattandosi ad altri, purché siano ben drenati e soleggiati, fino a 800-1000 metri di altitudine.

Di origini europee e asiatiche anche il corniolo (Cornus mas) e il prugnolo (Prunus spinosa), entrambi arbusti a foglia caduca: il primo è diffuso nei nostri boschi, dove che può raggiungere i tre-cinque metri di altezza e fiorisce all’inizio della primavera, prima della comparsa delle foglie, ovali e con margine tipicamente ondulato: ai fiori, piccoli, gialli profumati, seguono i frutti, piccole bacche oblunghe, rosso scuro in luglio, acidule, aromatiche, da consumare una volta ben mature freschi o in marmellate, gelatine, salse per carni, sciroppi o sotto spirito. Molto adattabile e molto resistente al freddo e ai parassiti, il corniolo cresce bene anche in terreni poveri e sassosi, pur preferendoli fertili, freschi e calcarei, al sole o in mezz’ombra.

Il prugnolo, molto spinoso, regala una deliziosa fioritura bianca a inizio primavera, prima della comparsa delle piccole foglie: le prugnole, piccole drupe rotonde dalla buccia cerosa viola-blu, si raccolgono per tradizione in ottobre e novembre, dopo le prime gelate, che ne diminuiscono l’astringenza. Dotate di proprietà antibatteriche, possono essere consumate fresche, in confetture e distillati, ma ricordate che sono molto amate dagli uccelli e dai piccoli mammiferi, così come i fiori forniscono nettare agli impollinatori. È una pianta ideale per creare siepe naturali o da lasciar crescere ad alberello.

Di lontana origine asiatica, gli azzaruoli o lazzaruoli (Crataegus azerolos) sono biancospini arbustivi, alti al massimo 3-4 metri, dal fogliame verde lucido, dall’incantevole e ricca fioritura bianca e dagli ottimi frutti eduli. Si declinano in alcune varietà, fra cui le due più note, una a frutto giallo e l’altro rosso. Pur essendo rustici fino a -20 °C e oltre, gli azzaruoli amano i climi miti, quali si ritrovano sui nostri pendii collinari, bene esposti al sole, dove crescono leccio e roverella, terreni ben drenati e non troppo compatti, pur adattandosi anche a quelli più pesanti. I frutti, simili a piccole mele, riunite in mazzetti si raccolgono tra inizio agosto e fine settembre, scalarmente oppure tutti insieme e poi si lasciano maturare. Dolci, aromatici leggermente aciduli, si consumano freschi o in marmellate.

Comunemente diffuso in tutta l’Europa centrale e meridionale, nel Caucaso e in Armenia, dal livello del mare al piano montano, negli ambienti ruderali, nei boschi umidi e lungo i corsi d’acqua, il sambuco comune (Sambucus nigra) è un arbusto deciduo alto fino 4-6 metri, dalle foglie composte, verde scuro, dalle foglioline lanceolate, acuminate, con margini seghettati. In aprile-giugno forma infiorescenze (corimbi) vistose, formate da piccoli fiori bianco panna, molto profumati, che in luglio-agosto si trasformano in bacche nerastre, lucide, contenenti un piccolo seme. Quest’ultimo è velenoso, mentre fiori e bacche sono commestibili: i fiori, freschi o essiccati all’ombra, sono utilizzati in infusi e tisane, dalle proprietà antireumatiche e anti tosse, lozioni per la pelle con azione astringente e lenitiva, e sciroppi profumati, da allungare con acqua, o, come è di gran moda da qualche anno in Inghilterra, per aromatizzare i cocktail; le bacche servono per preparare marmellate, vini, liquori, succhi, senza contare che il loro succo veniva un tempo usato come inchiostro e per colorare fibre naturali e cuoio.

Infine, l’olivello spinoso (Hipphophae rhamnoides), spontaneo nelle regioni temperate dell'Eurasia, in Algeria e nell'Europa centro-occidentale, dove può raggiungere i sei metri di altezza. Ha foglie allungate, grigio-argento, morbide, e piccoli fiori giallo pastello spento, seguiti da frutti arancio, simili a olive, commestibili e molto ricchi di vitamina C, ma di sapore acido, per cui sono utilizzati perlopiù in sciroppi. Adatto a ogni tipo di terreno, tollera il freddo ma soprattutto il caldo, la siccità e la salsedine, per cui è un’ottima pianta per i giardini anche fronte mare, in particolare per realizzare siepi difensive, in pieno sole.

Oltre che presso i vivai sopraelencati, potete trovare questi ed altri frutti minori da Dennis Botanic Collection, vivaio specializzato in piante eduli insolite e curiose, aperto dal giovane Dennis Barruero, a Dogliani, nei pressi di Cuneo.