Fatemi un favore. Finitela di distinguere la meraviglia calcistica di Maradona dagli "errori tremendi compiuti in vita": non se ne può davvero più. È la classica attività del moralista. L'Italia è piena zeppa di moralisti e vedendo come va l'Italia, non la trovo un'attività particolarmente capace di portare benefici, no?

Il moralista va finta di non vedere che tutti, anche coloro a lui tanto graditi e da lui osannati, sono esempi quantomeno contradditori se presi come "modello umano corretto". Soprattutto il moralista non giudica solo se stesso, che poi dovrebbe essere l'unica attività critica utile e proficua.

La scomparsa di Maradona ha spaccato in due il popolo italiano. In Italia succede spesso. Per ogni argomento gli italiani sanno dividersi in due, tre, mille fazioni, che si tratti di politica, di sport o di come addobbare la festa del quartiere.

L'eterna guerra tra Guelfi e Ghibellini è insita nell'animo dell'italiano medio ancora oggi come non mai; il popolo della commedia dell'arte, delle processioni, del re e del papa, del palio tra contrade, delle liti condominiali, delle corna tra automobilisti.

Questa è l'Italia, inutile nasconderselo.

Da una parte lo accetto, o meglio lo tollero: in questo ridicolo marasma, di tanto in tanto, viene fuori comunque qualcosa di buono. Quando si tratta però della "valutazione" di un essere umano, beh, la cosa proprio non funziona, ve lo dico subito.

Il moralismo, siamo chiari, è una pratica idiota, non ho problemi a dirlo. Il moralismo fallisce non solo per quanto riguarda il mio gusto soggettivo, visto che anche io (molto di rado, vi avverto...) posso apprezzare come capita a tutti cose oggettivamente meno belle di altre; il moralismo non funziona proprio dal punto di vista della reale comprensione del mondo.

Quando un essere umano scompare, simpatico o antipatico che fosse per il nostro gusto soggettivo, dobbiamo andare a vedere oggettivamente quello che ha lasciato in eredità agli altri.

Noi siamo quello che lasciamo in eredità. Non parlo di soldi, parlo di Bellezza. La Bellezza, quella vera, permette al resto degli esseri umani di annusare l'invisibile profumo dell'eterno già durante la vita. È chiaro a tutti che l'arte è il canale privilegiato per parlare di Bellezza: le sinfonie di Beethoven, i quadri di Caravaggio, le poesie di Leopardi ne sono solo un piccolo esempio. Ma anche una splendida formula matematica fa parte del concetto di Bellezza, così come una illuminante teoria filosofica. Lo è anche un amorevole comportamento verso il prossimo: non si tratta quindi di un concetto relegato solo ad artisti, scienziati e filosofi ma anche a disposizione di tutti gli esseri umani in genere che, quotidianamente, di gesti "belli", oggettivamente belli, ne compiono di continuo.

Torniamo a Maradona: da artista vi dico che Maradona, nel suo ambito, ha toccato decine di volte, forse centinaia, la sfera della Bellezza oggettiva. Antipatico o simpatico che fosse a ciascuno di voi, la poesia l'ha fatta vivere toccando un pallone, chi l'ha visto sa bene di cosa sto parlando. C'è chi riesce a far toccare il cielo con un dito con la musica, con l'arte visiva o scritta, con la scienza, con la filosofia. Lui l'ha fatto con un pallone. Ha reso grazia, con un pallone.

Ora mi chiedo: voi moralisti quando, per esempio, parlate di Caravaggio, specificate davvero ogni volta che: “Sì, Caravaggio è stato un artista sublime ma, per dio, fu un assassino e non è lecito parlarne così bene”?

E a proposito di Michelangelo cosa dite? Che le Pietà e la Cappella Sistina sono una meraviglia ma col suo carattere impossibile rovinò tutto il bello creato?
E con Leopardi?
E con Beethoven?
E con Nietszche?
E con Kubrick?
E scendendo dal piedistallo dei più grandi geni dell'arte, fate ogni volta questo discorso dicotomico parlando di Jesse Owens, Pietro Mennea e Gino Bartali?

Siete davvero ridotti a questo?

Il 25 novembre 2020, all’età di 60 anni e nello stesso giorno che vide la scomparsa dell’amico Fidel Castro, è morto il più grande calciatore di tutti i tempi; questo è un fatto. Questo è il fatto.

Con lui se ne va la storia del calcio, quella vera, quella di chi ha sognato e goduto durante gli scontri epici nell'Italia degli anni ‘80 e ‘90 tra lui e Zico, tra lui e Gullit, tra lui e Matthäus, tra lui e Platini. Non potremo mai finire l'elenco. Non erano semplici scontri agonistici, chi l’ha vissuto lo sa: con i debiti distinguo rispetto a discipline ritenute culturalmente “alte”, in campo c’erano allora vere e proprie filosofie di vita, di gioco, di visione del mondo. In quegli anni non c’era o quasi, nel rettangolo di gioco, l’uso esasperato della tecnologia, né c’era ancora il culto del corpo muscolare. Testa e talento, allora, ancora creavano nuovi universi. Ogni appassionato di calcio, in quel periodo, poteva proiettare la propria fantasia e immedesimarsi in ognuno di questi grandi talenti. Già allora, il Genio che rappresentava Diego Armando Maradona era quello della rivoluzione e della ribellione, dello spettacolo e dell’improvvisazione.

Partiamo da un presupposto: il tifo è una malattia, senza se e senza ma. Una vera differenza tra gli esseri umani non è quindi quella che separa chi è tifoso e chi non lo è ma tra chi è consapevole di essere malato di tifo e chi no. Il tifo è la degenerazione massima del principio di parzialità. Non è basato sui vincoli di sangue, né sulle catalogazioni sociali ed economiche, tantomeno razziali o territoriali. Quando si incontra un tifoso della propria squadra di calcio dall’altra parte del mondo, il malato di tifo si sente in famiglia. È una strana, sbilenca e splendida attrazione. Poi c’è la sportività. Chi possiede questo dono della sportività, che fa non solo rispettare l’avversario agonistico ma addirittura amarlo nelle sue manifestazioni di bellezza oggettiva, è un essere umano fortunato. Ha più possibilità di amare. È un essere più libero rispetto ai tifosi e anche dei non tifosi, disinteressati e quindi incapaci di sentir vibrare l’anima per un tackle in scivolata, un assist inaspettato o un colpo di tacco smarcante.

Io sono un uomo fortunato, per esempio. Da sempre sono malato di quella terribile sindrome chiamata interismo acuto, una filosofia di vita e di pensiero calcistico che, come sanno bene i tifosi di questo straordinario sport, richiede un’infinita abnegazione, pazienza che alterna gioie intense ed indescrivibili a sofferenze calcisticamente indicibili. Qualcosa di simile si ha in Inghilterra tra i tifosi dell’Arsenal, è uno dei pochi paragoni centrati che mi vengano in mente. Nella mia vita da tifoso interista quindi, oltre l’incredibile follia di questa squadra, da sportivo amante della bellezza ho amato alcune cose che non hanno fatto parte della mia squadra del cuore, anzi: l’hanno contrastata, ne hanno limitato le vittorie e favorito le sconfitte. Ciononostante, le ho amate, ammirate e applaudite. Tra queste, veder giocare il grande Milan di Sacchi, che ha rappresentato la più grande rivoluzione di strategia calcistica della storia calcistica e appunto, il nostro ricciuto, piccolo e immenso Diego Armando Maradona, l’uomo che da solo riusciva a far vincere la propria squadra di club (il Napoli) e la propria nazionale (l’Argentina) con le magie che solo un virtuoso sa concretizzare e rendere possibili.

Maradona, il pibe de oro, il dio del calcio, il rivoluzionario, colui che poteva fare qualsiasi cosa, ripeto qualsiasi cosa con quel piede sinistro unico e irripetibile.

Droga, rapporti con la malavita, figli non riconosciuti: sappiamo bene, inutile ricordarlo, tutto quello che combinò il nostro genio tracagnotto e capellone nella sua assurda e spesso incomprensibile vita. Eppure. Eppure vinse, appunto, con il Napoli due storici scudetti che ne valgono almeno 10 di quelli ottenuti in qualunque altra grande e cosiddetta nobile squadra abituata a vincere. Eppure vinse con la sua Argentina, facendola diventare la nazionale ai tempi più forte del mondo. Eppure segnò alcuni dei gol più belli della storia del calcio. Eppure ci dimostrò che il calcio sa essere anche poesia e racconto, oltre che sport.

Mi mancherà Diego. Mi mancheranno anche le sue folli dichiarazioni, le sue amicizie improbabili, le sue avventure improponibili. Non possiamo accettare solo il bello di una persona, troppo semplice: bisogna “comprare il pacchetto completo” e questo pacchetto mi ha fatto godere e impazzire come raramente accade.

In fondo, e sopra ogni cosa, Maradona ha dimostrato che un uomo non alto, un po' grassottello, tutt'altro che col culo parato a livello di club, agenti e squadre, poco incline alla fatica fisica e alle regole, può comunque essere il più grande di tutti e di tutti i tempi nel suo campo specifico, quando porta in sé il genio. Il genio non potrà mai portarglielo via nessuno. Avere il genio non è cosa da tutti.

Nel frattempo, Maradona sarà stato accolto in quel mondo che segue il nostro, in quell’al di là dove sicuramente avrà molto da fare lui ma anche coloro che lo hanno accolto. Non andrà di certo all'inferno e sicuramente neppure in paradiso. Una cosa mi sento di dirla: il luogo ultraterreno più probabile è il purgatorio e lì gli daranno la maglia numero 10. Faranno un affare.

Anche San Pietro, di quando in quando, scavalcherà di nascosto i cancelli celesti per vederlo giocare.

Questa digressione di filosofia calcistica mi serve per tornare al ragionamento iniziale. Dal giorno successivo alla scomparsa di Maradona è divampata infatti, soprattutto in Italia ma non solo, la polemica secondo la quale la morte del pibe de oro ha di fatto preso troppo spazio nell’immaginario collettivo mondiale oscurando, per esempio, un avvenimento importante in contemporanea come quello della giornata contro la violenza sulle donne.

Come fosse stata una colpa lo “scegliere” di morire in tale giornata, hanno iniziato a giungere migliaia di accuse al personaggio e a tutti coloro che hanno deciso di manifestare il dolore e il cordoglio per la sua scomparsa.

La distinzione netta tra il “genio calcistico” e l’uomo tutt’altro che modello di vita per gli altri, dal passato macchiato dalla droga, dalle provocazioni, dalle manifeste simpatie politiche per Che Guevara, Fidel Castro e Chavez, è diventato una sorta di mantra che da subito ma ha infastidito e, a lungo andare, nauseato.

Da quando in qua, mi son chiesto, un virtuoso di una qualsiasi disciplina, colta o meno che sia, deve essere anche valutato come modello di vita ideale per essere amato, ricordato e rimpianto?

Gli esempi sono innumerevoli, sia in campo artistico che scientifico, politico o legato al mondo dello sport e dello spettacolo. Non ho sentito attacchi così virulenti rivolti, per esempio, a Picasso (odioso, egoista, colpevole di alcuni assurdi suicidi femminili) o a all’alcolista Churchill, non a Mozart né a quel traditore seriale che era Fellini e neppure all’alcolista Winehouse. Vogliamo poi parlare di personaggi politici italiani? Forse è meglio evitare, dovrei scrivere troppi esempi, lo sapete meglio di me.

Ho una mia convinzione su quest’argomento. I fattori “machisti” e “sinistroidi” del personaggio Maradona sicuramente gli hanno causato attacchi violenti da una parte del mondo femminile, che proprio nel giorno della sua morte si era attivato per parlare del terribile problema della violenza contro la donna, e dall’altra di una opposta parte politica. Entrambe manifestazioni faziose? Probabilmente sì, però la prima, quella della parte femminile, era ferita davvero dalle inaudite ingiustizie quotidianamente subite. Sicuramente è stata una reazione più comprensibile. La seconda, quella politicamente avversa, assolutamente no.

Quando si ha a che fare con la scomparsa di personaggi che nel proprio campo hanno non solo saputo raggiungere e rappresentare l’eccellenza assoluta ma addirittura donare sogni, coraggio, sentimenti, poesia, in una parola “bellezza” a tante e tante persone, questi personaggi si celebrano. Punto. Non li si elegge a modelli di vita. Quasi tutti i grandi non son stati modelli di vita. Si confonde il virtuoso con il santo. A volte ingenuamente, a volte furbescamente.

Quello che conta davvero è ciò che si lascia “in eredità” ai posteri a livello di “bellezza”. L’eredità lasciata da Baudelaire, dai Beatles, da Owen, da Modigliani è stata immensa. Nessuno di loro è stato un santo, anzi, ma il glorificarli a prescindere da come abbiano vissuto non vuol dire certo eleggerli a nostri modelli di vita. Semplicemente riconoscerne la grandezza.

Piuttosto, e qui mi rivolgo a tutti voi che mi state leggendo, soffermatevi a riflettere sulle nostre vite prima di giudicare quelle degli altri; siete consapevoli del rischio di non lasciare ai posteri nessuna "eredità di bellezza"? Questo è il vero problema. In passato la questione era affrontata e non poco. Oggi giorno, ammaliati dalla superficialità e dalla quantità, molto meno. E questo è un serio problema.

Ricominciamo ad occuparci di noi. Non si tratta di egoismo, state tranquilli, anzi: si tratta di coraggio. Occorre avere due palle così per giudicarsi. Provate ad utilizzare il vostro tempo per raccogliere una buona eredità fatta di rispetto, di amore per l’umanità, di gesti ispirati alla bellezza in favore dei posteri anziché perderlo a criticare il prossimo.

Maradona la sua forma di bellezza ce l'ha lasciata. Tra tanti errori ma l’ha lasciata. Ci ha arricchito, la sua bellezza durerà per sempre: la sua vita, i suoi gusti e i suoi vizi passeranno ma la bellezza resterà, anche fra secoli. Lo ricordo spesso: "Niente è più oggettivo della bellezza".

L'unica vera distinzione è tra chi lascia in eredità qualcosa di "bello" al prossimo e chi non lo fa. C'è chi lascia in eredità opere, chi gesti, chi semplicemente sentimenti, umanità. C'è chi invece si chiude nel proprio ego per tutta la vita e non lascia nulla al prossimo. Tutti, sia i primi che i secondi sbagliano mille cose nella vita perchè nessuno è perfetto. Una persona, sincera fino in fondo, questo lo sa.

Ai "presunti sani", di cui semplicemente si ignorano gli errori che comunque sono stati compiuti o di cui, peggio, non se ne vuole parlare per puro spirito di ipocrisia, io preferisco di gran lunga quei tanti "presunti non sani" di cui invece si conoscono i difetti, se ne parla apertamente e che hanno provato a lasciare qualcosa agli altri, qualcosa di bello, qualcosa che resterà per sempre. Li preferisco, senza distinguo e senza ipocrisia.

Se questo è un errore, felice di esser tra chi sbaglia cercando di lasciare qualcosa di "bello" agli altri.