C’è stato un tempo in cui si è ritenuto che la felicità dell’uomo fosse un diritto inalienabile e che compito delle buone leggi fosse quello di garantirlo, rimuovendo tutte le forme di oppressione, di ingiustizia e di diseguaglianza che potessero soffocarlo.

Milano e Napoli sono nel Settecento i centri italiani più attivi nei quali si affermano i principi riformatori illuministici più avanzati in Italia. Fucina del rinnovamento sono spesso i circoli letterari e i salotti nei quali si incontrano e si confrontano opinioni e programmi innovatori.

Nel 1780 vengono pubblicati a Napoli i primi due libri de La scienza della legislazione di Gaetano Filangieri. Gaetano Filangieri, nato nel 1753, è cadetto di una nobile famiglia napoletana e come tale destinato alla carriera militare, che subito abbandona per dedicarsi agli studi di diritto. Ben presto è in contatto con i più impegnati riformatori del tempo come Pietro Verri, Mario Pagano, Domenico Cirillo e Francesco Saverio Salfi, con i quali intercorre una fittissima corrispondenza. Tra i suoi corrispondenti c’è anche Beniamino Franklin che si esprime in maniera assai encomiastica nei confronti della sua rivoluzionaria opera.

Filangieri pubblica nello stesso anno anche un Piano Ragionato, quello che oggi chiameremmo piano dell’opera, nel quale sono sintetizzati non solo gli obiettivi ma anche gli argomenti dei singoli libri. Dei sette che l’autore ha in mente ne verranno pubblicati tra il 1780 e il 1785 solo i primi quattro e alcuni capitoli del quinto, per il sopraggiungere nel 1788 della sua morte prematura a soli trentacinque anni.

Quest’anno le consuete manifestazioni previste dal Comune Napoli, di concerto con moltissime istituzioni cittadine, per il cosiddetto Maggio dei monumenti, che hanno sempre uno sviluppo tematico, sono dedicate a Gaetano Filangieri e il diritto alla felicità nel Secolo dei Lumi.

Filangieri si è formato sulle letture soprattutto di Montesquieu e di Fénelon ed è stato allievo del precettore napoletano Luca Nicola de Luca che gli dedica espressamente il suo Commento al Libro dell’Ecclesiaste, del 1775. Indicativa è questa frase del De Nicola contenuta nella dedica: “Ti resti sempre impressa questa grande verità che un tempo sapesti apprendere e che ora cominci a praticare: la più grande felicità è saper fare i felici”

Filangieri si batte strenuamente contro il distorto e perverso uso della giustizia, fatto nei tribunali di allora da parte tanto di magistrati superficiali, quanto di avvocati imbroglioni e contro le disumane condizioni dei detenuti e delle carceri che sono diventate una “tomba”, la cui porta, egli scrive, dovrebbe essere finalmente spalancata. Ma soprattutto denuncia a chiare lettere e con energia il perdurare crudele dell’uso sistematico nei tribunali della tortura, che estorce confessioni forzate anche a prigionieri in attesa di giudizio, spesso innocenti, ed è talmente inumana da procurare sempre invalidità permanenti.

Spina dorsale della Scienza della legislazione è il principio che le leggi dell’uomo, suggerite ai governanti dai filosofi, che sono sempre stati super partes, debbano garantire il benessere dell’uomo. E per garantirlo, dal momento che la fonte prevalente di sostentamento è l’agricoltura, è necessario stabilire più eque condizioni economiche e di vita, abolendo o limitando il latifondo che distrugge la vita dei braccianti.

Il latifondo, retaggio secolare del feudalesimo, è prerogativa delle grandi famiglie nobiliari che, grazie alla antiquata regola del maggiorascato e ai matrimoni combinati, tende ad ampliarsi sempre di più col conseguente e crescente impoverimento dei braccianti. Ma va combattuto e destrutturato anche il latifondo della Chiesa, non meno pervasivo del primo, che allontana i suoi ministri dalla vera religione che deve ridiventare quella che è stata alla sua origine: “vincolo della pace e base delle virtù sociali”.

“La vita e la tranquillità degli uomini – scrive Filangieri- merita maggior rispetto… e le buone leggi sono l’unico sostegno della felicità nazionale”. Insomma, quel benessere sociale e quell’uguaglianza che le buone leggi devono promuovere sono le basi per garantire l’inalienabile diritto dell’uomo alla felicità. Fondamentali sono perciò la lotta alla superstizione e all’ignoranza e l’impegno all’educazione e all’informazione delle classi più deboli.

Opera rivoluzionaria, dunque, la sua e soprattutto ispirata ai principi di quello che i greci chiamavano “parresia”, il dovere/diritto di parlare apertamente ai governanti.

Facile immaginarlo! All’uscita dei primi due libri nel 1780, la Scienza della legislazione è denunciata alla Congregazione dell’Indice perché sia iscritta nell’Indice dei libri proibiti. Ma si sottrae alla condanna non tanto per l’influenza dello zio Serafino Filangieri arcivescovo di Napoli quanto per i buoni rapporti tra la moglie Charlotte Frendel e la regina Maria Carolina.

Gaetano Filangieri muore nel 1788 e perciò non è tra i coraggiosi promotori della Rivoluzione Napoletana del 1799, nella cui schiera sarebbe fatalmente accorso, ma la sua opera è per loro sicuramente ispiratrice dei principi che li infiammano.

Ci domandiamo, oggi, quanto le attuali e numerose leggi che dovrebbero governare l’Italia siano vicine ai principi che innervavano la Scienza della legislazione di Gaetano Filangieri.