Ultime settimane a Roma per la strepitosa mostra dedicata a Monet ospitata presso il Complesso del Vittoriano, Ala Brasini, fino al prossimo tre giugno, vista la massiccia influenza che ne ha decretato il successo.

Uno dei padri putativi dell’Impressionismo è stato così celebrato con circa 60 opere, le più care all'artista, che lo stesso Monet conservava nella sua ultima e prediletta dimora di Giverny: tutte provenienti dal Musée Marmottan Monet di Parigi che raccoglie il nucleo più importante delle opere, grazie alle donazioni dei collezionisti dell'epoca e del figlio Michel. Il percorso lo documenta dai suoi già fulminanti esordi: a 10 anni entrò in collegio a Le Havre. Appassionato di disegno, cominciò a fare piccoli ritratti dei suoi compagni di scuola.

In breve tempo le sue caricature diventarono un caso di successo che si allargò a macchia d’olio: Monet esponeva i quadretti incorniciati in rue de Paris presso il cartolaio Gravier, dove si radunavano curiosi e interessati che si sfidavano a riconoscere il personaggio preso in giro o il tipo immaginario modellato dalla sua immaginazione che, per quanto fervida, non riusciva a celare alcune insicurezze. "Monet, per paura che i suoi quadri non venissero capiti dal pubblico, preferiva tenere nascoste molte delle sue opere", afferma il direttore del Marmottan, Patrick de Carolis.

La sua ricerca antesignana, che ha influenzato tutte le generazioni dei pittori successivi, non venne colta con immediatezza dai suoi connazionali: "Il sarcasmo suscitato nel 1874 dall'esposizione di Impressione, levar del sole è entrato nella storia - ribadisce la curatrice Marienne Mathieu - ma anche le sue Grandi ninfee, dipinte tra il 1914 e il 1926 vennero criticate a lungo prima di essere innalzate al rango di icone".

Ed eccoli quindi i capolavori di Monet, dalle poderose ninfee ai sospirosi salici piangenti, oppure l’insuperabile La passerella giapponese, facente parte di una serie di ben 12 quadri che rappresentano un panorama visto sempre dallo stesso punto di vista a Giverny, con uno straordinario utilizzo della luce e dei colori, ribadita anche nella celeberrima casa dall’intonaco rosa. “Non era un pittore, in verità, ma un cacciatore". Così lo scrittore Guy de Maupassant descriveva la "pittura nuova" di Monet.

Sala dopo sala, l’emozione cresce e si dilata, attraversando quella dedicata ai ritratti dei figli (ne aveva due, Jean e Michel avuti dalla prima moglie Camille Doncieux che poi allevò con i sei che la seconda moglie, Alice Hoschedé, aveva avuto con il precedente marito), passando per i paesaggi rurali e urbani dei suoi viaggi a Londra, Parigi, Vétheuil, Pourville, e delle sue tante dimore - inclusa una breve parentesi in Liguria testimoniata in mostra dal dipinto del castello di Dolceacqua - si percepisce la sua totale dedizione alla pittura, circoscritta da un talento ineguagliabile.

In esposizione anche Il treno nella neve. La locomotiva, Iris, Barca a vela. Effetto sera, La Senna a Port-Villez. Effetto rosa. "Pensava solo a dipingere - conclude De Carolis - da non aver tempo per spiegare agli altri la sua evoluzione".

Sotto l’egida dell’Istituto per la storia del Risorgimento italiano, promossa dall’Assessorato alla Crescita culturale-Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali di Roma Capitale, con il patrocinio del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo (MiBACT) e della Regione Lazio, la grande retrospettiva è prodotta e organizzata dal Gruppo Arthemisia. Mancarla sarebbe imperdonabile.