L'aereo sorvola un paesaggio blu vena, roccioso, impervio: è il Caucaso, la compatta frontiera di sassi innervata, qua e là, da fiumi tortuosi e densi che sfociano nel Caspio, il grande mare chiuso.

Il volo della compagnia nazionale azera, prima di atterrare, prevede l'ossessivo passaggio di un video che racconta di un paese dai mille colori, dove tappeti volanti conducono il visitatore alla scoperta del buon cibo, della natura e della storia.

Io sto tornando a Baku dopo un anno e sono felice; amo questa città ventosa, questa metropoli stratificata e aperta. Mi piacciono i contrasti urbanistici (medioevo arabo, dentro ottocento occidentale, dentro strutture soviet e poi, dentro il futuro), mi piace la gente, tanta, giovane, che riempie i viali, che gioca a scacchi nei giardinetti e che sorride spesso, dimostrando una forma aggraziata di accoglienza.

Il libro che ho in borsa in questo viaggio è un testo curioso che racconta di dischi, 12 per la precisione, ed è come se l'autore invitasse il lettore a una lunga chiacchierata in casa sua e, sbadatamente, tra un bicchiere e l'altro, in un flusso di pensieri a briglia sciolta, svelasse segreti, casualità, follia persino, dietro al rigore di un pentagramma. Chi parla di musica, di tutta la buona musica, e di vita, è il compositore Carlo Boccadoro.

Salgo in un tradizionale taxi viola che procede, rispettoso di limiti e segnaletica, lungo i viali della città, mentre osservo grattacieli lucidi e piccole enclave di case basse e ingiallite, grandi parchi con fontane zampillanti e minuscoli giardini protetti da muri scrostati, dove i gatti si stiracchiano al sole. Ma ovunque si orienti lo sguardo, in questa città di mare senza spiagge, ecco le Fiamme svettare verso il cielo.

Le fiamme, tre, sono lo stemma del paese e “The flames”, le immense strutture di cristallo che di giorno catturano la luce del Caspio e di notte, come un falò per ciclopi, si accendono in giochi di luci arancione e rosso. Anche dall’interno della città vecchia, le fiamme della modernità assediano la storia e spuntano da dietro le finestre protette, che consentivano alle mogli del re di vedere senza essere viste e di prepararsi alla preghiera serale.

La fiamma perenne del tempio di Zarathustra invece, quella brucia a est di Baku, a Surakhani. Si narra che a ogni passo del profeta se ne accendesse una. A rendere prosaica questa immagine di sacra magia è il petrolio. Era petrolio quella melma che fuoriusciva dalla terra e che prendeva facilmente fuoco e infatti Baku e tutta la regione, galleggia su un immenso giacimento di oro nero che è stato, insieme allo sbocco al mare, il secolare motivo di tante invasioni e tanti investitori stranieri.

La sera in albergo, uno dei tanti che si affacciano sulla baia, tiro fuori il mio libro musicale dalla borsa e scopro che trecento tacchini possono duettare e le orche fare un coro e che Prince era ossessionato da paure ancestrali e che John Cage, nella sua composizione per orchestra senza direttore, si è ispirato a Thoreau ...

Mi domando che cosa succederà quando la ricchezza di paesi come questo non dipenderà più dagli idrocarburi che sgorgano dalle viscere della terra e in essa tornano come resti di inquinanti combustioni. Provo a chiederlo ai miei amici azeri e loro mi rispondono che ci vuole creatività, in fondo uno dei loro eroi nazionali, Murtuza Mukhtarov, magnate genio delle estrazioni, già a fine ottocento, investì gran parte delle sue ricchezze nelle sue due grandi passioni: il bel canto, fondando scuole musicali in tutto il paese e le colture vegetali, ulivi e alberi da frutto, melograni soprattutto. Canzoni e melagrane ...

Canzoni.
Come nasce un disco? Ma anche come questo entra nelle nostre vite, come lo facciamo nostro, come ci compone, ci colora, mettendo un altro tassello nello sbilenco, perennemente incompleto puzzle che siamo noi.

Il tassista che viene a prendermi al Centro Culturale Alyev, uno degli edifici più trasognanti dell'architettura visionaria e curvilinea di Zaha Hadid, mi accoglie con la consueta educazione e mentre scambiamo qualche parola sul vento che oggi batte più forte del solito e fa volare tutto per aria, catturo le note di buon jazz, jazz azero.

Chiedo conferma e il guidatore, occhi brillanti e sorriso orgoglioso, mi dice che sì, è Shahin Novrasli, uno dei più interessanti esponenti di questa scuola che mescola jazz con pop e fusion e musica tradizionale caucasica. Annuiamo, e restiamo così, ognuno a battere il suo tempo e a seguire i propri pensieri per tutti i chilometri di traffico che ci separano dall'aeroporto. E io mi chiedo se anche dietro questo disco ci sia una qualche strana coincidenza che ne ha favorito la nascita, o un qualche innesto bizzarro del destino che ha scelto quel titolo, Emanation, e nessun altro.

Concludo che sarà sicuramente così, me lo ha insegnato il libro di Boccadoro, e quando il disco planerà dalla baia grigio argento di Baku alla mia casa umbra, so già che ogni volta che lo ascolterò incastrerò emotivamente viola, sorriso, vento, fiamme fino a rievocare il sapore aspro delle melagrane.