La naturalezza dell’arte di Luisa Modoni non è legata alla sua tecnica esecutiva, ad una specifica cifra stilistica, a una narrazione complessa. Le sue forme sono semplici, i colori sono essenziali, il linguaggio chiaro e fatto di poche parole. L’artista percorre giardini vergini nel silenzio della sera e replica più e più volte quest’esperienza intima in opere quasi ritrattistiche.

Pochi piani raffigurativi, un profondo sfondo scuro, qualche tratto di dinamismo e l’elemento ritratto partecipano a un meccanismo di astrazione figurativa che non priva la forma del suo contenitore fisico ma stravolge il suo contenuto semantico. E tutto avviene nei pochi istanti dell’abbandono del giardino buio portandoli via “solo” un fiore...

Per fare un prato occorrono un trifoglio ed un'ape,
Un trifoglio ed un'ape
E il sogno.
Il sogno può bastare
Se le api sono poche

(Emily Dickinson)

Prima o poi capita a tutti di incontrare un segnale stradale che non riesce a decifrare perchè non lo conosce o non lo ricorda e prima o poi capita a tutti di perdersi per questa ragione... Gian Luca Galavotti, invece, non conosce la frustrazione dell’incomprensione, non teme i sistemi linguistici strutturati e codificati.

L’artista approccia il mondo innaturale dei segni con lo sguardo del bambino: ogni cosa è interessante, ogni cosa va vista a sé è conosciuta per quello che è ora e per quello che è stata o potrà essere. La raffinata geometria delle forme, la limpidezza dei colori e la sterilità dell’ambientazione aiutano lo sguardo a concentrarsi e la mente ad estrarsi dai propri standard lessicali. Non si tratta più di una lettura, di un riconoscimento della “cosa” bensì della sua trasformazione in evento estetico a se stante, sradicato dalla narrazione della quotidianità.

Non è abbastanza fare dei passi che un giorno ci condurranno alla meta, ogni passo deve essere lui stesso uno meta, nello stesso momento in cui ci porta avanti

(Goethe)

Un lavoro intenso è incessante, legato ad alti e bassi, a cadute e riprese, a lesioni e costruzioni è quello che anima i lavori di Luca Boatta. Il violento astrattismo geometrico dell’artista propone un gioco di elementi sospesi, che l’occhio consuma e la mente restituisce in interpretazioni metafisiche o, meglio, tecnomorfe. Il corpo umano non attrae più, deve essere superato o almeno migliorato con le sue protesi tecnologiche che lo rendono sempre meno morbido, sempre meno biomorfo, sempre meno vivo.

La materia subisce una cristallizzazione che rende il colore traslucido e la forma minerale. Il gesto tagliente dell’artista esplora questa morfologia acuta, acuminata, attualizzata e la lacera il più possibile, la frammenta e la frastaglia, nella ricerca di darle una nuova forma, forse non umana, forse non gradita ma almeno viva ..... Spazio e tempo non determinano questa esistenza neonata che gravita in un orizzonte infinito, in un contatto interminabile tra natura ed artificio.

La fragilità del cristallo non è una debolezza, è una raffinatezza

(Into the Wild)