La città di Livorno in quanto porto strategico sulla costa ovest italiana, in quell'affaccio ampio sul mar Ligure che ne ha fatto da sempre prerogativa di sviluppo e ricchezza di traffici commerciali e di deposito, fu profondamente devastata dalle bombe degli alleati prima e dalla ritirata tedesca successivamente che demolì e rese definitivamente inutilizzabile il porto e inabitabile la zona nera della città.

Chi ci colpì furono inizialmente i francesi ma riportando danni di minimo rilievo, coloro i quali infierirono, ahimè, per liberarci dalla morsa tedesca furono gli americani con i bombardieri B-24 ma soprattutto gli inglesi con i loro Lancaster che costituivano il bomber command diretto dal terribile maggiore Harris. Da ricordare i terribili bombardamenti a tappeto del 1943 mirati per ottenere una distruzione sistematica della città, fino ad arrivare al 1944 con quelli a grappolo, diurni degli americani e notturni degli inglesi. Completarono il danno i tedeschi, istituendo dapprima la zona nera, cioè confinando tutta quell'area che dalle zone industriali proseguiva verso il centro e da lì verso il porto e il lungomare, che occuparono evacuando in 10 giorni gli abitanti e che sciacallarono beni e suppellettili, oltre a ciò il grave danno della distruzione del Faro, delle banchine e tutto l'accesso al porto.

Nei giorni successivi alla liberazione, l'ufficio tecnico comunale stimò che 33,3% erano gli edifici distrutti del centro cittadino, 28% quelli gravemente danneggiati, 28,30% quelli appena danneggiati e 8,30% quelli illesi. Su tutta la città il 43,14 degli stabili erano illesi, tutti gli altri danneggiati in modo più o meno grave. Comunque sia, dopo la liberazione, 30.000 livornesi erano senza un tetto e urgente fu la necessità di ricostruire case e infrastrutture. Da dove cominciare e soprattutto come, con quale regia urbanistica? L'indirizzo del Ministero dell'Istruzione agli amministratori livornesi suggeriva di non avere fretta a ricostruire, per dare modo di pensare a un progetto di riordino urbanistico più organico e concettualmente integrabile a ciò che rimaneva dei vecchi immobili, proponendo infatti di recuperare intanto solo quegli edifici che avevano subito lievi danni e lasciando stare al momento tutto il resto.

Fu ripensato in un primo momento il piano strutturale della città di Piacentini, con il ribaltamento del Duomo e la creazione dell'asse primario stradale che dalla via Grande lato mare, vedeva a destra la direttrice di via Cairoli con una visuale che permetteva un panorama in direzione di Montenero. Ma il piano era drammatico poiché prevedeva sventramenti, ampliamenti e raddrizzamenti con la conseguente alterazione generale del centro. Piacque di più il piano regolatore di Roccatelli, fortemente sostenuto dal Ministero, che sistemò a dividere la piazza Grande in due, quel blocco da sempre discusso che è stato il “nobile interrompimento”, il palazzo Grande.

Figuriamoci però, se l'indicazione fu ascoltata dai “levantini” livornesi, troppe persone erano senza casa, il Comune fece costruire baraccopoli ovunque, concentrate soprattutto nel quartiere di Coteto, nord-est e addirittura dentro la Fortezza Nuova; solo che così non poteva andare, per un fatto di disagio generale, di igiene, di precarietà che faceva sì che la città non si risollevasse dal connotato di città demolita. Le decisioni dal Governo tardavano ad arrivare e il Comune iniziò con gli espropri dei terreni dove intendeva creare lotti per la nuova edilizia, le macerie furono portate via dal centro città, e i terreni furono messi in vendita.

La paura di perdere occasioni da parte di investitori che si erano fatti avanti per costruire, fece sì che si potesse acquistare a prezzi ultra convenienti, vedi il caso dell'area dove sorse il palazzo Grande: valutato 18.000 lire al mq fu invece venduto per sole 5000 lire. Pertanto Livorno fece di testa sua, seguendo un piano regolatore che non tenne conto di una edificazione coerente e organica, non tenne conto della gerarchia delle strade, non tenne conto del gusto e della sua toscanità ma fu prepotentemente diretto a un recupero abitativo quantitativo più che qualitativo, salvo qualche caso, in periodi di poco successivi e di iniziativa di qualche ente.

Fatto sta che dal consiglio ministeriale di recuperare solo gli edifici poco danneggiati, in realtà dopo poco, la città di Livorno si ritrovò nel 1947 con il contributo statale, 1072 appartamenti, 134 immobili con 3640 vani, ricostruiti. La ricostruzione costituì quindi una occasione per molti di crearsi un nome e una posizione di tutto riguardo, molte fortune iniziarono allora, era il dopoguerra, c'era fretta e voglia di far ripartire una città con la sua economia, c'erano occasioni e situazioni favorevoli per chi ne aveva la possibilità e la capacità per sfruttarle, c'era tanto da fare e chi poté, fece.