È opinione comune considerare la mitologia come un “sottoprodotto” culturale; a rinforzare tale convinzione concorre la stessa concezione di mito, inteso come idea, immagine o avvenimento di costruzione astratta, in netta contrapposizione al mondo materiale. Da una parte quindi abbiamo un mondo ancorato alla ragione (quello stabile e rassicurante della scienza e dell’esistenza quotidiana), dall’altra una dimensione mitologica, apparentemente caotica, illogica e priva di regole.

L’etimologia del termine mythos, però, rivela un significato più autorevole essendo legata, oltre che al concetto di narrazione, anche a quello di parola fondante, di verità di cui ogni esperienza umana è il riflesso. Molte tradizioni, ad esempio, vantano una ricchissima varietà di leggende legate al regno delle piante. Sono narrazioni riguardanti il “mondo delle origini”: una terra invisibile immersa negli elementi naturali, popolata da dei, esseri semidivini e umani. In senso generale la vegetazione incarna il principio fondamentale della sacralità della vita; per questa ragione le piante erano rispettate come fonte di sostentamento e adorate come rappresentazioni divine. Altri simboli, come quelli che sovrintendono alla rinascita e alla rigenerazione, sono legati ai riti della fertilità e alle fasi stagionali che scandiscono il ciclo dell’esistenza.

Non è un caso che in quasi tutte le tradizioni, l’immagine dell’Asse del Mondo è rappresentata da vari “alberi cosmici”, tra cui i più importanti sono la Quercia, il Frassino, la Betulla, il Faggio, il Cedro e la Palma; queste piante catalizzano un centro, uno spazio sacro ideale, frutto dell’unione tra Cielo e Terra. In questo contesto, l’immagine dell’albero rovesciato rappresenta la reciprocità ciclica di queste forze polari: nel processo di ascesi è la materia che si spiritualizza e nel movimento discendente è l’energia divina che si esprime nella materialità dell’atto creativo.

Un altro mito di fondamentale importanza, le cui radici affondano nelle profondità dell’inconscio, è quello legato alla Grande Madre. Ad esso fanno riferimento le storie che narrano di paradisi perduti, di un’età dell’oro o di un eterno ritorno: questi luoghi sono popolati da piante, come il Melo, il Cedro, il Platano, il Tiglio, il Sorbo o il Pero, che incarnano un principio protettivo che offre sostegno e nutrimento (senza dimenticare la possibilità di infrangere le regole divine, in modo da accedere alla conoscenza del bene e del male). Gli alberi che perdono le foglie sono il simbolo dell’inscindibile legame tra la vita e la morte, mentre quelli sempreverdi (Cipresso, Olivo, Leccio, Tasso, Abete, ecc.), spesso custodi di luoghi sacri, sono simboli d’immortalità e rinascita.

Secondo la psicanalisi moderna, i miti e gli archetipi, lungi dall’essere delle ingenue creazioni psichiche, rappresentano una sorta di materia oscura capace di influire profondamente sulla natura umana, e spesso si rivelano degli efficaci strumenti per liberare l’individuo dal mondo chiuso e condizionante della dimensione storica. Nella geografia mitica non esiste un territorio definito, oggettivamente misurabile, ma uno spazio cosmicizzato, dove cielo e terra sono dimensioni aperte che ruotano intorno a un punto centrale, configurato nella profondità di ogni esperienza individuale. Quello che inizialmente scaturisce dalle singole menti, diventa ben presto un patrimonio mentale comune o meglio, gli stessi miti sono la manifestazione di idee archetipiche, cioè di “matrici psichiche universali” (inconscio collettivo) che si esprimono in forme simboliche ricorrenti.

Quasi tutti i miti, nella loro sostanza, racchiudono una successione precisa e ripetitiva di elementi strutturali: un attivatore causale (generalmente una problematica esistenziale), un’inconciliabile tensione di forze opposte (vita e morte, bene e male, odio e amore, ecc.) e un intervento risolutivo esterno (l’azione di un dio, di un essere semidivino o di un eroe). La materia e la psiche però sono strettamente collegate e si influenzano a vicenda: come è possibile modificare la funzionalità fisica attraverso un’alterazione psichica, allo stesso modo si può agire sulla mente attraverso le esperienze materiali oppure impiegando particolari sostanze chimiche. La contrapposizione tra un esterno osservabile e un interno percepibile, è solo un’antitesi fittizia, poiché entrambe le dimensioni sono aspetti diversi di una stessa realtà unitaria.

In questo ampio schema di influenze, i miti e gli archetipi possono muoversi in profondità, configurandosi in maniera universale (in ogni popolo o civiltà) sia come sentimento, emozione o fantasia, sia come matrice d’informazione biologica. Siamo in presenza di principi eterni in forma di immagini simboliche, paragonabili a una specie di “memoria cosmica” (l’akasha della tradizione indiana): un campo di forze invisibili capace di “orientare” la materia secondo un disegno finalistico e creativo. Interessanti analogie emergono dalla teoria dei “campi morfogenetici” del biologo Rupert Sheldrake, fondata sull’esistenza di “domini” di informazioni, paragonabili a delle matrici energetiche capaci di agire sul mondo organico e inorganico, influenzando oltre che l’organizzazione di cellule, molecole e atomi, anche gli istinti e i comportamenti.

È possibile cogliere l’essenza di questa complessità anche nelle armonie matematiche (rapporti aurei, sequenze dei numeri di Fibonacci, spirali logaritmiche, ecc.), di cui la Natura si serve per realizzare un’incredibile varietà di forme e colori. A livello sperimentale si fa sempre più concreta l’ipotesi, proposta dal fisico David Bohm, secondo la quale l’Universo è una manifestazione di due forme di organizzazione sovrapposte e interdipendenti, chiamate ordine “esplicato” e “implicato” (nel significato latino di “ripiegare”, “piegare al suo interno”). La prima corrisponde al mondo fenomenico, cioè lo scenario quotidiano che il cervello percepisce, interpreta e razionalizza costantemente attraverso gli organi di senso; mentre la seconda assume la forma di un’armonia nascosta, invisibile, latente, che pervade tutto ed è riconosciuta come il fondamento ultimo della realtà.

Nell’ordine esplicato (dimensione macroscopica) la mente e la materia si separano, portando divisione e frammentarietà; al contrario, l’ordine implicato coincide con la coscienza cosmica ed è sperimentabile attraverso la fusione tra mente e materia, da cui nasce unità e consapevolezza. Quest’ultima condizione diventa percepibile quando si entra in contatto con la dimensione archetipica della psiche e paradossalmente con il mondo quantistico del microcosmo. Il mondo subnucleare, infatti, ha molto da spartire con la realtà profonda della mente, soprattutto quando viene rimesso in gioco il ruolo dell’osservatore come elemento partecipativo e inseparabile di un dato sistema (principio d’indeterminazione), oppure quando la materia perde la sua oggettività, manifestandosi simultaneamente sia come impalpabile energia sia come sostanza concreta (principio di complementarità). In questi termini la coscienza è implicitamente presente in tutta la materia e la stessa materia è una manifestazione indiretta della coscienza.

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