Anche il Sole, che misura il tempo con la sua corsa, può cadere nelle trappole di Afrodite. La dea ha deciso di vendicare un antico oltraggio infliggendo ad Apollo la pena memorabile di un amore infelice: a lui, che infuoca la terra col calore del disco solare, impone di ardere a sua volta, ma di un fuoco più intimo e segreto. L’oggetto di ogni suo desiderio diviene una fanciulla, la dolce Leucotoe. Per seguire lei, sua unica delizia, il dio trascura gli obblighi che ha verso il mondo: ora fa sorgere l’astro prima del momento stabilito, ora prolunga il tempo del tramonto, ora si dimentica che l’inverno ha giornate brevi e indugia, rallentando l’ascesa delle stelle della notte. Le amanti che prima lo rallegravano non lo attirano più, e tra queste c’è anche Clizia, la bella ninfa che lo ama fedelmente, e che più delle altre si strugge di gelosia. Ma la gelosia si trasforma presto in una rabbia difficile da controllare, un odio smisurato verso la nuova rivale.

Leucotoe è figlia di un re, Orcamo, che regna sul paese degli aromi, e la sua vita di fanciulla, protetta dall’assidua presenza della nutrice e delle ancelle, si svolge all’ombra del gineceo. Non è una ninfa montana, che vaga libera sui monti, ma un dio tutto può compiere, per esaudire i propri voleri. Una notte Apollo assume le sembianze della madre di Leucotoe per entrare, senza destare sospetti, nella stanza dove la ragazza, seduta al fuso, si intrattiene con le ancelle. Ordina a queste di lasciarla sola con la figliola, e soltanto allora si rivela a Leucotoe in tutto il suo splendore divino, dichiarandole la propria passione. La ragazza è così atterrita da non riuscire a reagire: lascia cadere conocchia e fuso, ma è anche vinta dalla bellezza ineguagliabile del dio, e si abbandona al suo abbraccio senza lamentarsi.

Venuta a sapere dell’incontro segreto, Clizia diviene preda di una furia vendicativa senza controllo e, decisa a rovinare Leucotoe, rivela la tresca al padre della ragazza; questi, vedendo distrutta la reputazione della figliola, le si accanisce contro. A nulla valgono i pianti e le giustificazioni, a nulla l’evidenza della violenza subita. Accecato dalla furia, Orcamo le impone una punizione straziante: scava una fossa e vi seppellisce Leucotoe, coprendo il tumulo di pesanti massi.

Quando Apollo scopre il supplizio accorre disperato: perfora con i suoi raggi brucianti la copertura sassosa riuscendo a far emergere il volto dell’amata dalla terra nera, ma è troppo tardi. Tenta disperatamente di scaldare il corpo ormai gelido col suo calore, nella speranza vana di riportarlo in vita, e tuttavia anche un dio non può nulla contro la morte. Non ha il potere di dominare il fato, possiede però la facoltà di trasformare: allora, versando lacrime di dolore, cosparge il corpo di Leucotoe di nettare profumato e pronuncia queste parole: “Che tu possa almeno salire al cielo!”. Le membra dell’amata improvvisamente si sciolgono e intridono il suolo di aroma fragrante: in quel punto esatto germoglia un virgulto di incenso, allargando le radici nella terra e cercando la luce con il giovane stelo.

Apollo, devoto alla memoria di quell’amore sventurato, non si avvicinò mai più a Clizia, il cui gesto sconsiderato aveva provocato tanto lutto e dolore. Si dice che la ninfa, logorata dalla follia della sua stessa passione, non riuscì a darsi pace e si consumò giorno e notte giacendo sulla nuda terra, sotto quel cielo percorso quotidianamente dal suo amato. Per nove giorni si privò di acqua e cibo, nutrendosi solo delle proprie lacrime e seguendo con sguardo adorante il disco solare che illuminava la volta celeste. Lentamente, una pietosa metamorfosi si impadronì del suo corpo, che attecchì al suolo con una robusta radice: la pelle impallidì fino ad assumere il colore esangue dell’erba, ma il volto si trasformò e si ricoprì di una vivida corolla, che tuttavia non smise di seguire il percorso del sole. E così, anche in questa nuova forma, Clizia rimase fedele al suo antico e immutato amore.

Nel mito greco, le passioni amorose di Apollo sono spesso legate a storie di metamorfosi; vicende speculari, soggette a un copione ripetitivo, dove solo nomi, identità e piccoli dettagli fanno la differenza. Apollo si invaghisce di principesse e ninfe arboree, spiriti residuali delle antiche religioni preelleniche, di cui il dio viola la natura schiva e indipendente, dandosi all’inseguimento delle sue amate con la determinazione di un predatore. E la predazione è culturale e storica al contempo: le antiche sacerdotesse sono chiamate a piegarsi, a scomparire nell’abbraccio di un dio che è sì, innamorato, ma ama con modalità non negoziabili. Apollo desidera, insegue, brama, e tutto ciò che è raggiunto dal suo tocco si trasforma in elemento vegetale. Nella sua marcia trionfale, imprime il sigillo di valori maschili, solari, che inglobano, addomesticano e trasformano la polarità femminile e lunare.

I destini di Clizia e Leucotoe si incontrano nel nome di una ricerca di senso che si sviluppa su piani autonomi ma intrecciati: sarà il linguaggio delle simbologie botaniche a sancire i significati. Il seppellimento di Leucotoe rievoca prepotentemente l’atto della semina della pianta, che potrà erompere dal suolo solo se agevolata dall’azione generativa dell’ardore solare (fisiologico, ma qui anche erotico). L’arbusto che prende vita gode dunque del patronato solare e della protezione di Apollo: è l’incenso, pianta sacra e liturgica per eccellenza. “Che tu possa almeno salire al cielo!”, proclama il dio, imprimendo il marchio della nuova consacrazione, che spiega attraverso la vicenda mitica il valore della verticalità dell’offerta aromatica, che si propaga dalla terra cercando il cielo.

Anche la gelosa e fedele Clizia è un medium vegetale, strumento di congiungimento alchemico tra terra e cielo. Il suo è un nomen omen, cioè un nome che racchiude in sé la propria predestinazione; deriva dal verbo klíno, che significa “piegarsi”, “volgersi”, “inchinarsi”. E infatti Clizia si trasformerà nel fiore simbolo di devozione incondizionata per il disco solare, il girasole, fornendo allo stesso tempo una spiegazione eziologica del fenomeno dell’eliotropismo, più comprensibile se ricondotto a una passione umana.

Attraverso le pietose metamorfosi di Leucotoe e di Clizia contempliamo antiche divinità arboree divenute oggetto passivo di un assalto amoroso, oppure prede di un’ossessione d’amore totalizzante. Apollo, che forse in un tempo dimenticato fu paredro dell’antica dea mediterranea, si è ora trasformato in un padrone dai tratti delicati e fulgidi e dal fascino conquistatore. Ancora una volta, microcosmo e macrocosmo si specchiano e dialogano con il linguaggio sublime del mito.