Nel 1949 la direzione del Corriere della Sera decise di mandare Dino Buzzati come inviato al Giro d’Italia. Lo scrittore bellunese, famoso giornalista e scrittore di molteplici romanzi, scrisse venticinque articoli, dal 18 maggio al 14 giugno 1949, in qualità di inviato al seguito del 32° Giro d’Italia. Non era propriamente un giornalista sportivo, ma alla fine è stata, invece, una brillante intuizione, rara nelle redazioni dei giornali.

Lo storico giornale milanese voleva offrire al suo pubblico, oltre agli articoli generali sull’evento, ai pezzi di approfondimento e alle statistiche, un racconto romanzato della grande manifestazione sportiva. Chi meglio di Buzzati, autore di racconti come Il Colombre, poteva dare tutto questo? Il Giro d’Italia del 1949 si svolse in un periodo storico particolare: il paese era governato dalla Democrazia Cristiana, si era legato al Patto Atlantico da un paio di mesi, registrava forti tensioni sindacali e un’incoraggiante espansione nell’industria.

Il Giro era un avvenimento ideale per raccontare il nostro paese, perché era una grande manifestazione sportiva che coinvolgeva da Nord a Sud l’Italia. Il ciclismo toccava nel profondo del cuore le migliaia di italiani che assistevano all’evento: l’uomo che cavalca le onde del destino fino alla sospirata vittoria, il coraggio di provare a superare i limiti, il duro allenamento, il destino beffardo che fa crollare in un attimo tutti i sogni di gloria. Tutto questo è il ciclismo, uno degli sport più popolari e amati nel nostro paese.

Non solo le imprese eroiche dei campioni del ciclismo scolpite nei cuori dei tifosi. Sullo sfondo della strada percorsa dai ciclisti, scorreva la speranza del popolo italiano e la sua voglia di costruire un futuro migliore, dopo la dura e tragica esperienza bellica. Buzzati ha rappresentato tutto questo con grande maestria e con quel pizzico di fantasia che solo lui poteva dare. Anche un semplice gesto come quello di lanciare una borraccia per terra diventava un gesto mitico ed esemplare. Le imprese di Coppi e Bartali erano il teatro di racconti suggestivi dove ogni piccolo momento diventava magia. Lo sport era una metafora della vita: paura e solitudine, ma anche il coraggio di sfidare i propri limiti.

La cronaca sportiva quindi offriva nuovi spunti per sviluppare il famoso intreccio tra narrativa, racconto e fatto, tanto caro a Buzzati. Il Giro offriva la possibilità di infinite digressioni grazie alla varietà del paesaggio italiano. Gli articoli furono composti a ogni arrivo di tappa e sono perfettamente collegati tra loro. L’attenzione verso gli aspetti tecnici della corsa è molto limitata e in qualche momento persino inesistente. Il servizio di Buzzati era l’unico presente nelle pagine del Corriere della Sera e veniva accompagnato da una tabella finale che riportava i dati delle gare. Il giornalista, comunque, racconta i momenti salienti del Giro e presenta le corse dal punto di vista psicologico, descrivendo vari aspetti della competizione. Inoltre, vi furono due pezzi iniziali nati con lo scopo di presentare in modo originale l’evento sportivo.

Gli organizzatori del Giro d’Italia del 1949, decidono di far cominciare l’evento da Palermo. La manifestazione doveva concludersi a Milano, dopo aver risalito la penisola, passando da Roma, Montecatini e Udine. Una scelta curiosa e diversa dalla tradizione. Tutto questo impone per tutti lunghi spostamenti, in treno o in nave (un po’ come oggi, quando il giro fa tappe in Irlanda o in Inghilterra). Buzzati sceglie di seguire una parte delle squadre impegnate nel Giro imbarcandosi a bordo del Saturnia. Nel primo articolo pubblicato sul Corriere il 18 maggio 1949, ritroviamo una parte curiosa, ma tipica della sua produzione giornalistica e narrativa: "Apriamo la porta della cabina n. 234. Buio anche qui. E’ il posto di Albert Dubuisson e di Jean Lesage. Anch’essi addormentati. E di qua di là, dietro le bianche porte del lungo deserto corridoio, gli altri, Kubler, Logli, Monari, Valenta, Conte, Crippa, eccetera. Li porta, col suo sommesso ronfare di motori, attraverso la notte del Tirreno, il bastimento stupendo di lumi che i pescatori, dalle loro piccole barche, devono scorgere anche da lontanissimo come un miraggio e benché sappiano cos’è fanno segno e si chiamano l’un altro quasi stentando a credere". (Dino Buzzati, Notte sul transatlantico del «travet» delle strade, in Corriere della Sera, 18 maggio 1949).

Attraverso una sorta di anafora, Buzzati riapre la porta. Ma il suo sguardo si proietta oltre e immerge il lettore in una notte magica. Il sonno dei ciclisti viene sapientemente usato dal giornalista per introdurre elementi di rottura che vivacizzano l’articolo. I sogni e le ambizioni dei ciclisti, soprattutto dei gregari, assumono le sembianze di uno spirito magico che anima una nave ricca di speranza per i vincitori, ma allo stesso tempo anche di effimere illusioni per i futuri sconfitti. Buzzati sonda un nuovo terreno all’interno del giornalismo sportivo. Il giornalista non cade mai nel linguaggio d’uso che la professione spesso impone. Egli muta e deforma la realtà nel rispetto della soggettività, dando voce ai sogni e agli incubi dei corridori. Sembra quasi di assistere a una grande avventura in un mondo fantastico. Un dolce sonno prima di vivere incredibili avventure!

Buzzati vive il Giro d’Italia con curiosità. Ai lettori del Corriere della Sera, il giornalista presenta, certe volte momenti commoventi, mentre altre volte scrive considerazioni distaccate; alterna la scrittura soggettiva a quella oggettiva. Ma la scrittura non risulterà mai stereotipata e banale, con i soliti triti e ritriti modi di dire. La cronaca ciclistica diviene un romanzo tutto da vivere e ricco di colpi di scena. Buzzati presenta descrizioni di paesaggi e le storie di ciclisti meno conosciuti al pubblico del Corriere. Ma il momento più significativo del 32° Giro d’Italia è l’avvincente scontro tra Bartali e Coppi. E’ in quell’istante che il giornalista entra nel vivo della cronaca sportiva. Questo duello fu molto significativo per lo sport e per i costumi italiani. Era la lotta tra un ciclista affermato, ma ormai ritenuto verso la fine della carriera, visti i suoi trentacinque anni suonati (nonostante il leggendario trionfo al Tour de France del 1948), e un atleta di cinque anni più giovane e quindi nel pieno della maturità sportiva. Il vecchio e generoso atleta doveva confrontarsi contro un nuovo campione affamato di gloria, voglioso di dimostrare il suo valore come un gladiatore nell’arena, di fronte a un vecchio leone, però mai domo. Coppi voleva definitivamente sottrarre a Bartali, al Re del ciclismo italiano e internazionale, lo scettro. Quale occasione migliore del trentaduesimo Giro d’Italia?

La loro rivalità era quindi leggendaria e divise l’Italia nell’immediato secondo dopoguerra. Il presunto scontro era tra i valori cattolici, incarnati da Bartali, e la cultura laica, rappresentata da Coppi. Un dualismo che ha fatto storia in questo sport, consegnando ai due ciclisti un posto d’onore nell’olimpo del ciclismo. Uno scenario perfetto per Buzzati, per uno come lui era un’occasione d’oro da non lasciarsi fuggire. Nei suoi articoli riesce a ricreare un clima epico, tipico della tragedia greca. Il ciclista toscano viene dipinto come un personaggio dei miti dell’antica Grecia, un eroe consapevole della propria sorte, il quale però non si tira indietro dalla lotta. In questo concerne il suo eroismo: egli è consapevole del proprio destino, ma vuole lottare fino in fondo per mantenere viva la propria leggenda. Un vecchio leone pronto a vender cara la propria pelle.

Nell’articolo Parve per un momento Bartali fosse sconfitto, del 27 maggio 1949, il giornalista costruisce un clima tragico, come negli scritti classici e improvvisa un dialogo con il ciclista. Ma siamo solo alla quinta tappa, la Salerno-Napoli. Non era ancora giunta l’ora della resa. Lo scenario dove si consuma la sconfitta ad opera del suo grande rivale sono le montagne. In quei luoghi ricchi di fascino e mistero la fatica e il dolore sono sempre in agguato e la natura è sempre pronta a sfidare l’uomo. La prima sconfitta di Bartali avviene durante la tappa dolomitica Bassano-Bolzano. Coppi vince con sette minuti di distacco. Nel pezzo dal titolo evocativo In un serrato duello fra la tempesta Coppi sconfigge il grande avversario, pubblicato il 3 giugno, Buzzati scrive una cronaca sportiva singolare e coinvolgente. Gli episodi significativi della gara vengono descritti attraverso particolari in apparenza non rilevanti, scene ricche di pathos e dialoghi improvvisati: "Bartali a colpi di denti sbuccia una banana. E’ bastato che per due secondi badasse al frutto. Come rialza gli occhi vede avanti tre che schizzano via. […] Non ha bisogno di chiedere chi sono. La sagoma di Coppi in qualsiasi prospettiva gli è bene confitta nel cervello. Sono lanciati. Poi c’è la maglia rosa Leoni. Per fortuna con lui, Bartali, c’è il bravo Jomaux, uno dei suoi luogotenenti. […] Bartali: 'al diavolo quella banana della malora. Possibile che mi sia lasciato sorprendere come un bambino? Niente altro che una stupida disattenzione. E quasi in pianura piatta, dove mi temono di meno. Forza Jomaux! Accellera!'" ma Joumax più di tanto non tira. E Coppi si allontana.

Il grande merito di Buzzati è stato quello di consegnare alla storia una descrizione epica di uno dei più grandi e combattuti Giri d’Italia. Partire da un particolare per creare un mondo epico ricco di eroi ed emozioni. Una lezione di giornalismo sportivo da leggere e rileggere, soprattutto in un epoca in cui il tatuaggio dell’atleta fa più notizia delle sue gesta sportive.