Con tre nuove mostre si è aperta il 20 giugno la stagione estiva del Macro – Museo d'Arte Contemporanea di Roma in via Nizza.
In attesa dell'approvazione del bilancio da parte del Consiglio Comunale, per avviare definitivamente la Fondazione Macro – tra i principali obiettivi fin dall'inizio della nomina dell'attuale direttore Bartolomeo Pietromarchi – il museo propone una stagione espositiva incentrata sulla mostra Neon. La Materia Luminosa dell'Arte a cura di David Rosenberg e Bartolomeo Pietromarchi. Una raccolta antologica dei principali esponenti dell'arte contemporanea dagli anni Sessanta, che del neon ne hanno fatto uno strumento di espressione visiva.
Inventato nel 1910 dal francese George Claude, che insoddisfatto della sua invenzione la reputò decisamente volgare, appare per la prima volta nel 1912 come insegna luminosa di un barbiere parigino. Il neon inizia ad essere usato nell'arte a partire dagli anni Trenta con alcune sporadiche sperimentazioni, dall'est Europa al Giappone, che culmineranno nel 1951 con l'installazione realizzata da Lucio Fontana per la IX Triennale di Milano. Da qui entra ufficialmente a far parte dell'arte contemporanea e Italia, Francia e Stati Uniti diventano i principali laboratori di ricerca per questo nuovo linguaggio. Principalmente usata dagli esponenti dell'Arte Povera, Concettuale e Minimal, conosce anche alcuni risvolti interessanti nelle correnti Pop e Optical.
La mostra occupa la grande Sala Enel del Macro, nella nuova area progettata da Odil Decq, per proseguire negli ambienti del foyer, lo spazio Area, e le passerelle al primo livello. Già presentata in una prima tappa alla Maison Rouge di Parigi, a Roma viene arricchita con ulteriori opere, pur senza la pretesa di essere un excursus completo ed esaustivo sul tema.
Negli ampi spazi della sala si può ammirare un cospicuo panorama di opere a partire da La Spirale Appare di Mario Merz (1990) e l'installazione Untitled di Jason Rhoades (2004), per passare ai capisaldi di questo medium artistico Joseph Kosuth e Maurizio Nannucci, fino a Maurizio Cattelan, Bruce Nauman, e alcune tra le migliori proposte recenti come Marcello Maloberti, Vedovamazzei, Andrea Nacciarriti, Flavio Favelli, Claire Fontaine, Alfredo Jaar.
Neon si presenta come momento di analisi e digressione sull'argomento, con un impianto molto didattico e rivolta ad un ampio target di pubblico che – ogni tanto avviene – potrà questa volta avvicinarsi all'arte contemporanea senza troppe perplessità.
La Sala Bianca invece ha aperto la retrospettiva dedicata a Claudio Cintoli (Imola 1935 – Roma 1978), L'Immagine è un Bisogno di Confine, curata da Ludovico Pratesi e Daniela Ferraria.
Attraverso quaranta opere la mostra ripercorre la vita di questo artista che da una partenza di matrice pop, affronta vari linguaggi artistici dalla pittura iperrealista, all'installazione, performance, fino ai murali realizzati negli anni Settanta.
Vive appieno le sperimentazioni degli anni Sessanta, ma preferisce assecondare il suo talento eclettico senza legarsi mai in modo univoco ad una precisa corrente. Compie una ricerca sulla propria personalità ambigua e contraddittoria che lo spinge a crearsi un alter ego, Marcanciel Stuprò, grazie alla quale nel 1976 esporrà contemporaneamente in due gallerie diverse usando la doppia personalità; e sarà proprio il “suicidio” di Marcanciel Stuprò annunciato nel 1977 che anticiperà la morte dell'artista l'anno successivo per emorragia cerebrale.
La mostra inizia dalla prima produzione pittorica figurativa e informale degli anni Cinquanta e attraversa tutti i 43 anni di vita intensa attraverso le sculture realizzate con materiali poveri come la serie Nodi, le azioni performative in cui è l'artista stesso protagonista come in Crisalide, e in alcune delle quali è ostentata una forte sessualità, come nella serie di fotografie scattate con la moglie; la pittura iperrealista con Uovo Lunare e Arancia, fino ai bozzetti per i murali, tra qui quello del Piper, e una serie di quaderni con schizzi e appunti.
Nella Project Room 2 infine, per la prima volta in uno spazio istituzionale l'artista Gregorio Botta ha realizzato un lavoro site-specific, in cui l'acqua è unico elemento vivo all'interno di un ambiente in cui una serie di piccoli Rifugi – titolo dell'installazione – si affacciano attorno ad una fonte centrale che riporta incise i versi di Emily Dickinson “Trovare è il primo atto/ e il secondo perdere”. Ogni rifugio ha una sua storia, una sua memoria più o meno evidente, che si collega con gli altri in una sinfonia silenziosa in cui uniche varianti sono il suono e il movimento dell'acqua.
Lo scorso maggio, in una serata evento, sono stati aperti al pubblico gli studi dei quattro artisti in residenza, per poter ammirare le opere in fase di realizzazione. Sempre lo stesso mese la terrazza del museo è stata aperta per la prima volta alla Street Art con il progetto Urban Arena che ha visto coinvolti Sten&Lex e Bros. Quello del 2012 è un Macro, che per far fronte ad un momento storico “culturalmente complicato” e minacciato da chiusure e commissariamenti, cerca di aprirsi e accaparrarsi l'attenzione di un pubblico sempre più vasto.
Testyo di Claudia Pettinari