Se i primi uomini utilizzavano alcune sostanze dolci della natura per nutrimento o per edonismo, evolvendosi, hanno imparato a trasformare molte di quelle per rendere più gradevoli i cibi. Si pensi alle prime bevande realizzate: la birra e il sakè dai cereali e il vino dalle uve, il latte l’asiatico kephir replicato nel mezzoraddu siciliano o nel gioddu di Sardegna. Con la tecnica della distillazione, affinata dagli Arabi, furono creati i primi distillati e i liquori, variamente dolcificati e aromatizzati, mentre continuava la congerie dei “dolci” che, fin dall’antichità, prima dello zucchero, si preparavano cuocendo impasti di farina e miele arricchiti con frutta secca e quant’altro, suggeriti dall'abilità e dalla fantasia delle donne. Dalla fine dell’800, la chimica consentì di indagare la composizione dei prodotti naturali, e cercò di riprodurre le molecole che rendevano dolci bevande e alimenti. Da una parte le fece scoprire, dall’altra, la nuova disciplina ne inventò altre più economiche e meno alterabili, che risultarono più efficaci di quelle tradizionalmente usate.

La nuova frontiera del dolce cominciò una sera del 1879, a cena nella casa di Constantin Fahlberg, un tedesco che lavorava nei laboratori della Johns Hopkins University. A tavola con la moglie, a differenza di lei che non notava niente di particolare, venne colpito dal sapore inspiegabilmente dolce del pane. Dopo il momento di stupore s’accorse che la stessa sensazione l’aveva leccandosi le dita. Intuì che quel dolce poteva derivare da qualche composto con cui, in laboratorio, le sue mani erano venute a contatto. La mattina dopo provò a leccare i vari derivati del catrame con cui aveva lavorato la sera precedente. Nacque così il primo dolcificante artificiale (1,2-benzen-iso-tiazolin-3-one-1,1-diossido), una polvere bianca, cristallina, inodore, di sapore dolce persistente, 400 volte più efficace dello zucchero, chiamata "sicosina" (dal greco σγκον, sicon, il fico) o "sucrina" e infine, "saccarina": ebbe successo soprattutto in medicina nei casi di diabete mellito. Peccato che, alla fine, lasciasse un retrogusto amaro, metallico, non gradito a tutti ma … pazienza.

Cinquant’anni dopo, nel 1937, uno studente dell’università di Chicago, Michael Sveda, era impegnato nella sintesi di un farmaco ad attività antipiretica. Un giorno, riprendendo una "tirata" dalla sigaretta che aveva deposta accesa sul banco del laboratorio, fu colpito dallo strano sapore dolciastro sulle labbra e in bocca. Facile dedurre che sul banco, la sua sigaretta, incidentalmente, fosse venuta a contatto con la sostanza da lui sintetizzata: il ciclammato di sodio (N-ciclo-esil-sulfamato di sodio). Il brevetto fu subito accaparrato e prodotto dalla Abbott Laboratories e il ciclammato regnò negli Stati Uniti come alternativa allo zucchero - 30-40 volte più dolce - dal dopoguerra fino al 1970, quando gli USA, imitati dalla Gran Bretagna, lo misero al bando. Nel 1994 invece sarà approvato in Europa come “E952” e utilizzato per bibite, dolci, gelati, dessert, chewing-gum, conserve di frutta light, ecc., sebbene sia consigliato ingerirne meno di 11 mg per kilo di peso corporeo al giorno.

Nel 1965, nei laboratori della Searle & Company, James M. Schlatter stava lavorando a un farmaco anti-ulcera che, per esser sintetizzato, in un passaggio fra le reazioni del processo, prevedeva l’impiego dell’L-aspartil-L-fenilalanina metilestere. Niente di particolare se non che, spostato un foglio di carta usato per appoggiare quel composto, scoprì l’imprevisto sapore dolce di quella polverina umettandosi un dito sulle labbra. Quel composto prese il nome di "aspartame", e fu approvato dalla FDA nel 1981: dalla sua entrata in commercio diede la stura ad aspre polemiche circa i paventati pericoli sulla salute, alimentate anche da leggende metropolitane nonostante nel 2007 l’approfondimento medico abbia concluso che l’assunzione si questa sostanza, contenuta in 40 mg/giorno/kg di peso corporeo, non comporti danni. In Europea è oggi indicato come “E951” e, come edulcorante, dolcificante ed esaltatore artificiale di sapidità, è consentito dal 1994 con ribadita approvazione del 2002.

Due anni dopo l’aspartame, nel 1967, Karl Clauss, allora chimico dell’Hoechst, casualmente scoprì che il sale potassico del 6-metil-1,2,3-ossatiazina-4(3H)-one-2,2-diossido, in arte "acesulfame K", dolcificava la metà rispetto alla saccarina e, pur nonostante il retrogusto amaro, era almeno 200 volte più dolce dello zucchero comune. Resistente al calore, oltre che alle bibite gassate, risulta oggi particolarmente impiegato nei prodotti di forno, di pasticceria o destinati a lunga conservazione.

Nel 1976, Leslie Hough e un giovane chimico indiano, Shashikant Phadnis, con alcuni ricercatori del Queen Elizabeth College di Londra, stavano facendo dei tentativi per usare alcuni zuccheri clorurati quali intermedi chimici in determinate reazioni industriali. Invitato da Hough a testare una certa polvere, Phadnis interpreta to test (analizzare), come to tast (assaggiare), parole molto simile nella pronuncia, così, per errore, scopre che quella polverina aveva un sapore eccezionalmente dolce. Messa a punto la formula (1,6-dicloro-1,6-dideossi-β-D-frutto-furanosil 4-cloro-4-deossi-α-D-galattopiranoside), per caso avevano in mano una sostanza 600 volte più dolce dello zucchero.

Era nato il "sucralosio", che nel 1991 trova porte aperte in Canada dove compare col nome commerciale di “Splenda”. In pochi anni, l’uso viene approvato in Australia, Nuova Zelanda, Stati Uniti finché nel 2004, codificato come “E955”, entra nella Comunità Europea e, attualmente, risulta autorizzato da oltre 60 paesi, compresi quelli del sud-America e dell’Oriente. Viene tutt'oggi usato per produrre dolciumi, merendine, bevande analcoliche, ecc. Mescolato con maltodestrine e maltosio, quali diluenti, è presente in tutti i bar nelle sostanze a “caloria zero”. Nonostante gli studi clinici attuali abbiano stabilito come limite di sicurezza in 9 mg/giorno/kg di peso corporeo, qua e là sorgono dubbi nel caso di sovradosaggi che, per fortuna, compaiono solo utilizzando qualche migliaia di volte in più della soglia raccomandata.

Quello che incuriosisce è che, mentre si indicano le dosi massime ammissibili per non incorrere in danni alla salute, non c’è nessuno che metta le mani sul fuoco sostenendo che queste molecole, con le quali gli uomini non hanno mai avuto rapporti finora, facciano bene. Invece, con un po’ di natura e un po’ di chimica, oggi le industrie degli alimenti e della medicina hanno a disposizione una vasta gamma di altre sostanze dolcificanti ottenuti a partire da vegetali o meno, o variamente modificati nei laboratori. Si pensi ai polialcoli (mannitolo, maltitolo, sorbitolo, xilitolo, lactitolo, e altri) o ai glucidi che vengono estratti da piante, frutti, latte, ecc., che vengono depurati e concentrati per gli impieghi più disparati (lattosio, maltosio, mannosio, amido, inulina, ecc.).

In questo secolo, ultime arrivate, sono le “proteine dolcificanti”, sostanze prodotte da piante che finora erano solo curiosità botaniche, ma nelle quali sono state scoperte molecole capaci di ingannare le papille gustative dell'uomo facendogli “sembrare” dolce qualunque cosa stia masticando e che dolce sicuramente non è. E’ un capitolo nuovo, ancora agli albori della storia alimentare, e sarà curioso indagare ma, soprattutto, vedere come andrà a finire.