Nero, denso e profumato, scrigno dei bei ricordi e di golosità fanciullesca. Al solo pensiero il sistema gustativo viene sollecitato, sopraggiunge un languido brivido di tepore dove le note vegetali ricordano all’umano d’esser figlio della terra. La dolcezza di un bacio, l’amarezza del vissuto.

“Svizzero? No per niente”. Proveniente dalle Americhe, quando ancora non portavano un nome sulla cartina, nel tempo in cui non vi era una bandiera al quale volgere onore, disperazione e ringraziamenti a Dio. Nell’era ormai passata si cela il padre dell’incantesimo dalle mille forme, dalle svariate fantasie e innumerevoli interpretazioni. Nell’umidità costante del clima Messicano, un piccolo albero produceva i suoi frutti simili a zucche contornato dalle foglie di un verdognolo scuro, regina benvoluta: la pianta del cacao. La natura, gli insetti, piccoli impavidi affamati di tale frutto permisero la sua diffusione, protagonisti di ruolo a loro sconosciuto. L’uomo se ne accorse, ritardatario, forse troppo occupato nella ricerca d’identità o forse meravigliato da ciò che aveva intorno.

Ebbene, si dovette aspettare fino ai Maya per assistere a un'addomesticazione di questa pianta. Il popolo misterioso incominciò a coltivare la pianta che dava questo frutto duemila anni prima della scoperta delle Americhe. Il Cacao, definito cibo degli Dei, frutto tanto prezioso da divenire moneta di scambio, baluardo della fusione di economia e della cultura al servizio dell’uomo. Il tempo, la storia, l’incrocio degli uomini e delle culture ha portato a noi un anfratto di storia che possiamo carpire in ciò che oggi definiamo cioccolato, o cioccolata per trattarla da signorina, o “ciculata” per i piemontesi tanto affezionati a questo prodotto.

Amara come l’inferno, dolce come la vita di chi vive spensierato, aromatizzata per chi la preferisce piccante come una notte d’amore, oppure dai sentori maledetti dei poeti dal fiato d’assenzio, di qualsiasi forma e dimensione, ad oggi si contano più di una cinquantina di cioccolati differenti sul mercato. Lo scenario è variegato: dalla Nutella, alle mattonelle svizzere, passando per tanti piccoli produttori. Tanto diffuso da farci una malattia, per la precisione una dipendenza: il “cioccolismo”. Dopo la febbre del sabato sera, e il solito strambo personaggio al bar della stazione, ecco il cioccolato dipendente confondersi tra noi anche in ore diurne, tra i bancali del supermercato in fiamme di sconti e offerte, oppure in coda alla posta che con un rumore sinistro che sembra maneggiare, con mani nascoste nelle tasche sfrigolanti di carta argentata, in atti di dubbio gusto per poi rifugiare una pralina fondente tra le guance, cercando la meravigliosa “scioglievolezza” che solo le immagini della televisione sono in grado di trasmetterci, senza tralasciare i numerosi fanciulli che ritrovano il senso goloso sbrodolandosi il viso con più latte e meno cacao.

Indugiare, ancora una volta su quanto sia importante sia il cioccolato nella società moderna mi parrebbe inutile. Per ora preferisco far volare il mio pensiero a quel bimbo dagli occhi luminosi e la pelle dello stesso colore di quel cioccolato che aveva sparso nella bocca. Mentre i denti piano piano divenivano scuri, socchiudeva gli occhi e stringeva un sorriso tra i suoi sogni e la goduria della gioia vanitosa di un gusto così magnifico e unico. Ricordo, perché da allora, nel percorso di questa mia vita, non ho mai più incontrato un degustatore emozionarsi così tanto.