Quante volte è capitato di entrare in un ristorante e per dover raggiungere les toilettes dover valicare angusti passaggi, porte e porticine, scale e scalette, che conducono come moderne "Alice in Wonderland" in un mondo parallelo? Zone protette, riservate al personale con tanto di privato stampato a lettere cubitali sulla porta, impediscono allo sbadato avventore di sbagliare uscio e finire dritto dritto in cucina. Ma se come mi è capitato spesso, troverete queste porticine aperte, vi consiglio di sbirciarvi dentro curiosi: vi accorgerete di un dato rilevante, ovvero la massiccia presenza di lavoratori immigrati impiegati nelle nostre cucine, dalle più "basse" alle più "alte" da nord a sud.
Certo lo chef stellato, non ha segreti: ha un assistente giapponese che dà lustro al suo organico, apportando colori e grazia tutti orientali ai suoi piatti. Ma in ristoranti, tavole calde, osterie e trattorie che fanno della genuinità nostrana un vanto, si nascondono collaboratori stranieri, ai quali non viene riconosciuto il benché minimo merito. Nessuna lode e nessuna ostentazione, anzi si fa attenzione a non danneggiare l'immagine, facendoli lavorare dietro le quinte, lontani da occhi indiscreti. Non si capisce se per smodata ignoranza (come quella che fomentata le dichiarazioni della Baldini sul rischio di infezioni nelle mense) o per convenienza, infatti la stragrande maggioranza di questi lavoratori è in grigio (per non dire in nero).
Gli immigrati in Italia con un contratto e tempo indeterminato sono per il 90% badanti e colf, mentre nel settore dell'edilizia, dell'agricoltura e della ristorazione la manodopera è impiegata senza contratto o nel migliore dei casi con contratti di tipo stagionale, occasionale o part-time. Questa situazione torbida favorisce lo sfruttamento del lavoratore extracomunitario da parte del caporalato e delle organizzazioni criminali, negandone completamente la tutela e la sicurezza. Pur di poter lavorare e guadagnare un misero stipendio, dai 2,75 ai 3,50 euro ora, i lavoratori (in maggioranza magrebini, cingalesi e slavi) accettano impieghi al limite della schiavitù, con orari massacranti da 12-14 ore giornaliere, senza pause, senza garanzie e ritardi nei pagamenti. Il vantaggio è tutto dei datori di lavoro che guadagnano approfittando di manovalanza a basso costo ed alta rendita. I compiti affidati a questi lavoratori-ombra sono non qualificati, ripetitivi ma con eccessi di sforzo fisico.
Flessibilità ed adattabilità tanto richieste dal mercato lavorativo odierno, sono pienamente soddisfatte da questi impotenti Stakanov. L'ingiusto deprezzamento del loro lavoro va contro l'Articolo 3 della Costituzione Italiana e l'Articolo 7 del Patto Internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali, che sanciscono la tutela del lavoratore a prescindere dalla sua origine, dal genere, dall'orientamento e dalla religione. Questa vergogna rimane purtroppo solo giuridica e non sembra spaventare gli approfittatori, che danno la colpa ai giovani italiani troppo viziati per fare lavori manuali.
Solite scuse, solite capri espiatori: gli immigrati rubano il lavoro agli italiani, che rimangono disoccupati. In questo contesto intricato di crisi e scetticismo agitato dalla depauperazione, la xenofobia trova terreno fertile e respinge la forza lavoro straniera. Attuare una migliore politica d'integrazione e chiedersi veramente se le nuove generazioni di italiani abbiano voglia di impiegarsi in agricoltura e ristorazione è un buon inizio per cambiare. Guardare con consapevolezza e critica nel nostro piatto ci farebbe prendere decisioni importanti. Affermare la centralità dei giovani italiani e stranieri, insieme, uniti come risorsa, si rivelerebbe utile per l'intera società. Valorizzare il lavoro in quanto tale a prescindere dall'origine dell'esecutore, favorire le contaminazioni e gli scambi, per far nascere una cucina transculturale ricca ed innovativa, alleggerirebbe il nostro piatto e le nostre coscienze dall'ingiustizia che oggi lo infesta.
Agli interessati consiglio di dare un occhiata ad una bella realtà sorta a Torino tra una signora piemontese (coltivatrice) e un venditore marocchino del mercato di Porta Palazzo: www.ellugardelasfresas.com