La raffinata ricerca artistica del giapponese Kenro Izu è al centro della personale che verrà inaugurata il 12 settembre negli spazi del Foro Boario di Modena. Curata da Filippo Maggia e aperta fino all’11 gennaio, la mostra è interamente dedicata al lungo lavoro che ha spinto l’artista ad esplorare i più importanti luoghi sacri del mondo, dalle piramidi d’Egitto alle antiche pietre di Stonehenge, dalla città di Angkor in Cambogia ai templi buddisti di India e Indonesia, dal deserto della Siria alle alte vette del Tibet.

In un percorso di oltre sessanta opere – per la maggior parte platinotipie stampate dall’autore stesso – la mostra presenta l'evoluzione nel corso degli anni della sua personale visione: dalle prime opere realizzate in Egitto ai numerosi viaggi intrapresi per la serie Sacred Places (1979-2001), fino ad includere lavori successivi dalle serie Bhutan Sacred Within (2002-2007) e India Where Prayer Echoes (2008-2012), dove per la prima volta nella sua ricerca sulla spiritualità dei luoghi trova spazio anche la rappresentazione di figure umane raccolte in preghiera.

Nato a Osaka nel 1949 e cresciuto nei dintorni di Hiroshima, Kenro Izu inizia a fotografare negli anni settanta, completando la sua formazione presso la Nihon University di Tokyo. Nel 1970 si trasferisce a New York, dove tuttora vive e lavora. Ispirato dalle immagini del vittoriano Francis Frith e dalle antiche spedizioni fotografiche in Egitto, nel 1979 intraprende il suo primo viaggio nella terra delle piramidi, dove resta fortemente impressionato dalla spiritualità del luogo e dal profondo senso di caducità ispirato dalla vista delle rovine, le cui enormi pietre si ergono come tracce imponenti dell’azione costruttiva dell’uomo. Da questa esperienza e dalle fotografie realizzate durante il viaggio prende avvio Sacred Places, il lavoro che diventerà nel tempo uno dei cardini stessi della ricerca dell’autore: per oltre trent’anni, come un instancabile pellegrino, Izu si è spinto verso mete sempre più lontane, ricercando siti e monumenti dove fosse percepibile la costante tensione dell’uomo verso il divino.

Racconta l’autore – “Spesso mi domandano perché fotografo monumenti. È ciò che più si avvicina a qualcosa capace di durare in eterno. Ma se si guarda bene c’è una sottile linea di confine tra la pietra e la sabbia circostante. Nemmeno la pietra è eterna, come ci insegna il buddismo tutto è transitorio. La nostra vita, quella di un fiore, perfino quella di un albero o di una pietra non sono altro che un momento nell’eternità”.

La condizione senza tempo delle sue immagini ben si sposa con il metodo di lavoro dell’autore, che individua nel recupero di stili e tecniche tipici della fotografia ottocentesca il mezzo più adatto per imprimere le atmosfere mistiche dei luoghi incontrati. Saldamente ancorato al procedimento analogico, con un’attenzione ancora artigianale per il dettaglio, Izu utilizza il più grande formato di fotocamera trasportabile: costruita sulle sue esigenze di fotografo e di viaggiatore, pesa all’incirca 90 kg ed è capace di produrre negativi 35x50cm. È infatti necessaria un’attrezzatura di tali dimensioni per realizzare le finissime stampe al platino che sono divenute negli anni la cifra stilistica dell’autore. Stampate a diretto contatto con il negativo, sono realizzate con una tecnica ormai pressoché desueta – utilizzata da grandi maestri come Paul Strand, Alfred Stieglitz e Irving Penn – che richiede un’elevata abilità e un tempo di lavorazione di circa tre giorni per ogni stampa, ma che consente di ottenere immagini dalla più suggestiva intensità tonale.

La mostra è promossa da Fondazione Fotografia Modena e Fondazione Cassa di Risparmio di Modena con il sostegno di UniCredit, da sempre impegnato in favore dell’arte e delle iniziative culturali dei territori in cui è presente. La mostra sarà accompagnata da un catalogo bilingue edito da Skira e si inserisce nel programma del festivalfilosofia 2014, che si svolgerà dal 12 al 14 settembre a Modena, Carpi e Sassuolo e sarà dedicato al tema della Gloria.

Kenro Izu nasce nel 1949 a Osaka e trascorre la sua adolescenza a Iwakuni, vicino a Hiroshima. Il primo approccio con la fotografia avviene attraverso il microscopio: affascinato dalla microbiologia e dalla figura di Louis Pasteur, le cui scoperte salvarono la vita a migliaia di persone, documenta con le immagini i germi e i microbi osservati durante i propri esperimenti di scienze. Dalle iniziali aspirazioni di una carriera in campo medico trasferirà i suoi interessi verso un ambito completamente diverso: nel 1969 si iscrive infatti alla Nihon University di Tokyo, frequentando i corsi di arte e di fotografia. È ancora studente quando nel 1970 si reca per la prima volta in visita a New York, dove si stabilirà definitivamente e aprirà qualche anno più tardi un proprio studio fotografico, specializzandosi nella fotografia still life di gioielli e piccoli oggetti preziosi.

Nel 1979, ispirato dalle immagini del vittoriano Francis Frith e dalle antiche spedizioni fotografiche in Egitto, decide di dar seguito a uno dei sogni che lo hanno accompagnato fin da bambino: visitare le sette meraviglie del mondo antico, l’elenco dei luoghi magnifici stabilito da Greci e Romani intorno al III secolo a.C. di cui oggi resta visibile unicamente la Piramide di Cheope. Kenro Izu intraprende quindi il suo primo viaggio in Egitto, dove resta fortemente impressionato dalla spiritualità del luogo e dal profondo senso di caducità ispirato dalla vista delle rovine, le cui enormi pietre si ergono come tracce imponenti dell’azione costruttiva dell’uomo. Concentrato fino ad allora sul solo lavoro commerciale, l’autore vive questa esperienza come un fondamentale punto di svolta nella sua carriera, aprendo la strada al lungo lavoro di ricerca che lo porterà a visitare i più suggestivi siti sacri del mondo e lo consacrerà allo stesso tempo nei grandi musei internazionali.

Nel 1983 Izu vede alcune opere di Paul Strand che lo colpiscono per la loro straordinaria bellezza e per l’intensità espressiva. Si tratta di fotografie al platino-palladio, una particolare tecnica di stampa che rispetto alle comuni gelatine d’argento permette di ottenere immagini dalla più ampia gamma di sfumature tonali. Affascinato dagli esiti che questa tecnica permette di raggiungere, Izu decide di introdurre l’uso dei sali al platino anche nella sua ricerca personale, già delineata attraverso la ripresa in grande formato: stampate a contatto diretto con il negativo, le fotografie riescono a conservare ogni minimo dettaglio, trasferito con precisione ma al contempo armonizzato all’interno del contesto e in grado di amplificare l’atmosfera mistica dei luoghi. Grazie a una borsa di ricerca ottenuta dal National Endowment for the Arts l’autore mette a punto presso il celebre laboratorio Deardorff di Athens, nel Tennessee, la fotocamera che gli permetterà di produrre le immagini desiderate: un banco ottico per negativi 14x20 pollici (35x50 cm), ovvero il maggiore formato trasportabile per una fotocamera capace di rispondere a un tempo alle sue esigenze espressive così come a quelle di viaggiatore.

L’anno seguente torna in Egitto con la nuova attrezzatura, consolidando la cifra stilistica che diventerà una costante per l’intera serie: ampie vedute dal sapore ottocentesco, che catturano lo sguardo in visioni senza tempo. La maestosità del luogo, il senso di mistero che le rovine riescono a evocare, sono amplificati dalle inquadrature che si aprono ad includere l’ambiente circostante, sia esso il deserto silenzioso o l’orizzonte sul quale è appena sorta una luna solitaria. Da allora l’autore intraprende una nuova serie di viaggi, anche grazie a una seconda borsa di ricerca ottenuta nel 1985 dalla National Endowment for the Arts: si reca in Scozia, Inghilterra, Francia, Messico, Perù, Cile e Stati Uniti alla ricerca dei siti sacri legati alle diverse civiltà passate, vestigia di un antico rapporto con il divino destinato a quell’eternità che non appartiene all’uomo.

Nello stesso periodo, sempre mediante l’utilizzo del grande formato, inizia a dedicarsi a una nuova serie di studi floreali che raccoglie sotto il titolo di Still life, una ricerca ancora aperta che si è arricchita negli anni anche di indagini sul nudo e sulla rappresentazione del corpo umano. Caratterizzate da una resa attenta e preziosissima delle superfici, le immagini mostrano forme sinuose e ravvicinate, ritratte su sfondo nero in composizioni minimali, alla costante ricerca di un equilibrio di luce e sfumature tonali.

Continua parallelamente il suo lavoro Sacred Places e nel 1993 visita per la prima volta il sito archeologico di Angkor, in Cambogia. La vista delle rovine così come la preziosità delle forme di vita naturale che vi crescono come nuovi abitanti dei templi gli appaiono quasi come una rivelazione: “Quando incontrai quell’albero, che si ergeva sul tempio con una tale autorevolezza, fui travolto da pensieri che si spingevano ben oltre le semplici nozioni di vita o di morte. Realizzai in quel momento, in cui finii per interrogarmi sulla mia stessa esistenza, che quell’albero poteva avere una risposta.” Inizia quindi una seconda serie di viaggi, individuando come sua destinazione privilegiata il vastissimo continente asiatico: da Siria e Giordania fino a Cina e Indonesia, passando per India, Birmania, Laos, Vietnam e Thailandia.

Durante un viaggio intrapreso nel 1995 per realizzare la serie Light Over Ancient Angkor, incontra diversi bambini rimasti vittime delle mine antiuomo ed entra in contatto con il grave fenomeno della mortalità infantile che affligge il paese, dovuta alla mancanza di servizi medici e della diffusa povertà. Rientrato a New York, fonda l’organizzazione no-profit Friends Without A Border con l’obiettivo di costruire nella città di Siem Reap, alle porte delle rovine di Angkor, un ospedale pediatrico che potesse offrire cure gratuite alle famiglie. Dopo quattro anni l’obiettivo viene raggiunto e l’ospedale “Angkor for Children” apre i battenti: con i suoi cinquanta posti letto, dal 1999 ad oggi ha curato oltre 650.000 bambini, trasferendo nel 2012 l’intera organizzazione in Cambogia mentre Friends Whitout A Border continua il suo impegno umanitario con il progetto di un nuovo ospedale pediatrico nel Laos, a Luand Prabang.

Continuano in parallelo i viaggi e le riprese fotografiche: nel 1997 Izu si reca nel nord del Nepal, sulle alte montagne Himalayane sulle cui pendici si trova l’antico regno del Mustang. Il fascino di questo luogo lo spinge ad aggiungere un nuovo capitolo al suo lavoro sui luoghi sacri, concentrandosi sui Paesi che abitano il “tetto del mondo”: il Tibet, il regno del Bhutan e la regione indiana del Ladakh.

Nel 2002 sperimenta per i suoi studi fotografici sul nudo una nuova tecnica di stampa, il cianotipo su stampa al platino, con cui ottiene immagini scure, dominate da un blu profondo, capaci di trasmettere attraverso ombre dense l’intimità sacra dell’animo umano. Queste immagini daranno origine alla serie Blue, completata nel 2004 e presentata nel corso di numerose mostre e pubblicazioni.

Incoraggiato da una Guggenheim Fellowship, intraprende tra il 2002 e il 2007 una nuova serie di viaggi nel Bhutan, durante i quali il suo lavoro vede una ulteriore evoluzione: per la prima volta il ritratto entra nella sua ricerca, attraverso volti di bhutanesi il cui altruismo è divenuto il motto stesso della nazione, sotto il concetto di “felicità interna lorda”. Segue nel 2008 il progetto India Where Prayer Echoes, con cui l’autore racconta attraverso immagini di templi, monaci e pellegrini, la devozione di un’intera nazione nei confronti della propria religione.

Le ricerche artistiche di Kenro Izu sono state ampiamente presentate nei musei e nelle gallerie internazionali. Tra le più recenti personali ricordiamo quelle organizzate presso il Rubin Museum of Art, New York (2004), il Tokyo Metropolitan Teien Art Museum (2005), l’Art Museum, University of Kentucky di Lexington (2007), il Detroit Institute of Art, il Kiyosato Museum of Photographic Art di Hokuto, in Giappone (2008), il Museum of Photographic Arts di San Diego (2009), il Fitchburg Museum of Art, in Massachusetts, il Lucca Photo Fest (2011), lo Spazio Forma di Milano (2012).

Le sue opere sono conservate in prestigiose collezioni, tra cui il Metropolitan Museum di New York, il Getty Museum di Los Angeles, il San Francisco Museum of Modern Art, il Boston Museum of Art, il Tokyo Metropolitan Museum of Photography, il Kiyosato Museum of Photographic Arts di Hokuto, in Giappone, la Galleria Civica di Modena, il Canadian Center for Architecture di Montréal.

Press preview: Giovedì 11 Settembre, ore 11.00
Inaugurazione: Venerdì 12 Settembre 2014, ore 19.00

Foro Boario

Via Bono Da Nonantola, 2
Modena 41100 Italia
Tel. +39 3351621739

Orari di apertura

Martedì - Venerdì dalle 15.00 alle 19.00
Sabato e Domenica dalle 11.00 alle 19.00

Aperture in occasione del festivalfilosofia

Venerdì 12 Settembre dalle 9.00 alle 23.00
Sabato 13 Settembre dalle 9.00 alle 2.00
Domenica 14 Settembre dalle 9.00 alle 22.00

Biglietti

5.00€ (valido per tutte le mostre in corso)
Ingresso libero tutti i Martedì e in occasione del festivalfilosofia

Immagini correlate
  1. Kenro Izu Tajin #13, Mexico, 1987 dalla serie “Sacred Places” stampa ai pigmenti 71x102 cm courtesy l’autore
  2. Kenro Izu Moai #1, Easter Island, Chile, 1989 dalla serie “Sacred Places” stampa al platino 35,5x51 cm courtesy l’autore
  3. Kenro Izu Sakkara #13, Egypt, 1979 dalla serie “Sacred Places” stampa ai sali d’argento, 33x46 cm courtesy l’autore
  4. Kenro Izu Angkor #26, Cambodia, 1993 dalla serie “Sacred Places” stampa ai pigmenti, 72x102 cm courtesy l’autore
  5. Kenro Izu Stonehenge #69, England, 1981 dalla serie “Sacred Places” stampa ai sali d’argento, 25x33 cm courtesy l’autore
  6. Kenro Izu Kanchipuram #638, India, 2012 dalla “India Where Prayer Echoes” stampa ai pigmenti, 72x102 cm courtesy l’autore